Un conflitto tra il vecchio che difende i suoi privilegi, e il nuovo che avanza verso un futuro radioso: così è stata rappresentata la lotta dei tassisti contro il cosiddetto Milleproroghe, contenente norme a favore di Uber. Mai come in questo caso, però, le semplificazioni sono l’anticamera delle menzogna, in questo caso amplificata da complessi tecnicismi. È dunque opportuno chiarire i termini della questione per definire innanzi tutto l’attività svolta dai tassisti in quanto servizio pubblico. Vedremo poi chi è Uber, il tipo di servizi che offre e i danni che sta producendo ai consumatori e soprattutto ai lavoratori. Infine mostreremo come, ciò nonostante, si sia oramai consolidata un’apertura crescente verso le istanze di Uber, e come questo non mancherà di riaccendere la lotta tra i tassisti e il governo.
Servizio pubblico
Per la Costituzione italiana “l’iniziativa economica privata è libera”, e tuttavia si prevedono “programmi e controlli” per indirizzarla a “fini sociali” (art. 41). Si fonda su questo principio la disciplina del servizio taxi, che la legge quadro sul trasporto di persone, predisposta nel 1992, qualifica come “servizio non di linea”: effettuato cioè “a richiesta”, “in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”[1]. Servizio non di linea e tuttavia servizio “pubblico”, perché deve essere garantito giorno e notte per tutto l’anno, perché i tassisti sono obbligati ad accettare le corse e a recarsi nel luogo richiesto, perché il prezzo della corsa viene stabilito dall’autorità amministrativa e calcolato con dispositivi controllati (i tassametri), e perché a tutela del cliente vi sono penetranti controlli sull’autista e il suo veicolo.
Insomma, il trasporto pubblico non di linea non funziona secondo le regole del mercato. Se così fosse i tassisti potrebbero rifiutare il cliente perché non gradito, o il tragitto perché poco remunerativo, o il lavoro in una fascia oraria scomoda. Inoltre il prezzo delle corse muterebbe in funzione della richiesta: non ci sarebbero corse con una domanda scarsa, e i costi sarebbero spropositati nei momenti di domanda particolarmente elevata. Infine non vi sarebbe garanzia alcuna sulle caratteristiche e dunque sulla sicurezza del veicolo, sulle capacità dell’autista e sull’adeguatezza delle coperture assicurative.
Proprio perché ci troviamo fuori dal libero mercato, le autorità amministrative limitano l’accesso alla professione di tassista: è una misura indispensabile a bilanciare gli oneri imposti dallo svolgimento di un servizio pubblico. Di qui il sistema delle licenze a numero chiuso, a cui si accede per concorso oppure acquistandole da un precedente titolare. E solo chi ha la licenza può contattare la clientela su strada, ovvero sostare o circolare alla ricerca di persone da trasportare.
Taxi abusivi
La legge quadro del 1992 prevede una seconda, e ultima, modalità di trasporto pubblico non di linea: il noleggio con conducente (ncc), ovvero il noleggio con autista di veicoli, solitamente di fascia alta, per il tempo e il corrispettivo concordato direttamente con il cliente.
La rilevanza pubblicistica di questo tipo di trasporto è minore rispetto a quella dei taxi, soprattutto in quanto non fornisce un servizio obbligatorio. Proprio per questo, però, gli ncc non possono contattare la loro clientela sulla pubblica via: devono stazionare nelle rimesse, dove ricevono la richiesta di servizio e dove devono fare ritorno dopo averlo completato. E nel merito non rileva il fatto che la tecnologia consente di assecondare richieste mentre si è fuori dalla rimessa: la limitazione di cui parliamo serve per riservare ai tassisti il contatto diretto con la clientela e dunque, come abbiamo detto, per bilanciare gli oneri legati all’assolvimento di un servizio pubblico.
Per rafforzare la distinzione tra taxi e ncc, nel 2008 il legislatore è intervenuto per meglio precisarla e per indicare alcune sanzioni per i taxi abusivi, e in particolare per gli ncc che contattano la clientela su strada[2].
Questo nuovo intervento è stato però considerato lesivo del principio di concorrenza[3], motivo per cui la sua efficacia è stata subito sospesa: nel frattempo si sarebbe ridefinita l’intera materia, comprese le misure di contrasto dell’abusivismo[4]. Il periodo di sospensione, però, è passato senza che nulla accadesse e non è stato più riproposto. In compenso si sono più volte fissati nuovi termini per emanare disposizioni destinate a colpire l’abusivismo, sino ad arrivare al Milleproroghe oggetto dell’attuale scontro, che lo fissa al 31 dicembre 2017. Il tutto mentre si torna a sospendere il provvedimento del 2008[5], che non cancella la legge quadro del 1992, ma che comunque agevola l’abusivismo e in particolare il dilagare di Uber.
Uber
Negli ultimi tempi lo sviluppo tecnologico ha condotto a nuove modalità di trasporto privato delle persone, e queste hanno rivoluzionato il tradizionale sistema del trasporto pubblico non di linea. Sono infatti pensate per la medesima platea di clienti, e quindi consentono di eludere la disciplina volta a reprimere gli abusi.
Protagonista assoluta in tutte queste vicende è Uber, multinazionale statunitense fondata nel 2009, attualmente presente in 70 Paesi e 520 città: dato assolutamente provvisorio perché in costante e rapida crescita. Uber ha elaborato una piattaforma informatica per mettere in comunicazione persone interessate a un servizio di trasporto, motivo per cui si presenta come un soggetto terzo rispetto ai trasportatori e ai trasportati. Il tutto per non garantire la sicurezza dei passeggeri e soprattutto per non tutelare gli autisti, che di fatto sono lavoratori dipendenti ma formalmente figurano come liberi professionisti. E questo provoca danni anche allo Stato sociale e al fisco, dal momento che Uber, attiva in Europa come società con sede ad Amsterdam, non paga contributi ed elude la disciplina fiscale.
I problemi sono sorti soprattutto con il servizio Uber-Pop, fornito da autisti privi di qualsiasi titolo, che semplicemente devono aver compiuto 21 anni di età, possedere una fedina penale pulita, una patente da almeno tre anni non sospesa di recente, oltre a un’auto a quattro porte immatricolata da non più di otto anni. Per la multinazionale si tratta di “un servizio di ride sharing e di economia collaborativa, dove l’individuo mette in condivisione il proprio bene, in questo caso l’auto, con chi ha l’esigenza di spostarsi nella città”[6]. Di diverso avviso il Tribunale di Milano, che ha inibito l’uso della piattaforma su tutto il territorio nazionale: è assimilabile a un servizio di radio taxi e dunque costituisce una pratica di concorrenza sleale[7].
E a nulla serve invocare l’economia collaborativa, che si ha solo in presenza di una “piattaforma solidale”, come quella che nel trasporto di persone si ritrova nei servizi di car pooling (come BlaBlaCar), dove si condividono i costi di un viaggio tra persone tutte direttamente interessate a compierlo. Gli autisti di Uber-Pop non hanno invece un interesse proprio a recarsi nel luogo indicato dal cliente: il servizio non ci sarebbe se non fosse retribuito. Siamo allora di fronte al “segmento low cost del trasporto pubblico non di linea”[8], che consente ai suoi clienti spostamenti a condizioni economiche particolarmente favorevoli, ottenute però in modo abusivo.
Non solo. Il prezzo della corsa viene adeguato al livello della domanda (surge pricing), come succede per l’acquisto in rete di biglietti ferroviari o aerei. Anche da questo punto di vista non regge la posizione di Uber, secondo cui la piattaforma si limita a formare un “gruppo chiuso” o community a cui prendono parte autisti e clienti interessati ad “abbattere i costi di impiego dell’auto privata” e a “ridurre l’inquinamento”. Come dicono i giudici milanesi, infatti, “ove ci sia un prezzo e questo si ponga come variabile a seconda dell’incontro fra domanda e offerta, si è in presenza di un mercato concorrenziale”.
Sin qui i problemi posti da Uber-Pop, che però non esaurisce l’offerta di Uber. C’è anche Uber-Black, un servizio fornito da autisti in possesso dell’autorizzazione ncc, che dunque non ha prezzi concorrenziali rispetto al taxi. Viene però svolto violando la disciplina del trasporto pubblico non di linea, e in particolare il divieto di contattare la clientela su strada[9]: soprattutto da quando è stato vietato l’utilizzo di Uber-Pop. Ecco perché il Milleproroghe, sospendendo la disciplina a tutela della distinzione tra servizio taxi e ncc, ha provocato la comprensibile rivolta dei tassisti. I quali sanno del resto che la piattaforma della multinazionale statunitense gestisce anche Uber-X: la versione economica di Uber-Black, che dunque insidia direttamente l’attività dei tassisti.
Dal cittadino al consumatore
Insomma, chi difende i tassisti per affermare l’idea di un mercato regolato per fini sociali, ha validi motivi per essere preoccupato. Del resto il Milleproroghe è solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi alla disciplina del trasporto pubblico non di linea, e più in generale ai servizi tradizionalmente forniti seguendo regole diverse da quelle che governano il mercato concorrenziale. Prevale oramai l’impostazione neoliberale, quella per cui la migliore distribuzione di beni e risorse è quella assicurata dal mercato. Il compito principale dello Stato è allora garantire l’inclusione dei cittadini nel mercato: è tutelarli in quanto consumatori.
Ovviamente lo sfondo di questo schema è dato dall’Europa, la paladina del mercato pervasivo, che fallisce solo se lo Stato assume compiti ulteriori rispetto al mero presidio della concorrenza. Anche se, in materia di trasporto pubblico, invocare l’Europa è un errore, o meglio una scorrettezza: la famosa Direttiva Bolkestein, che ha liberalizzato i servizi, ha infatti escluso dal suo campo di applicazione “i servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani e i taxi”[10].
Il primo serio tentativo di scavalcare a destra l’Europa si deve a Pierluigi Bersani, colui nel quale alcuni ripongono le speranze di rinascita di una sinistra non più prona ai diktat dei mercati. Nel 2006, da Ministro dello Sviluppo economico, ha varato un “pacchetto liberalizzazioni”[11], fortunatamente modificato rispetto i propositi iniziali: avrebbe altrimenti sensibilmente peggiorato, nel nome dei diritti dei consumatori, la posizione dei lavoratori del settore.
Questo però è niente di fronte alle posizioni che la tecnocrazia mercatista, ovvero le varie autorità poste a presidio del cosiddetto libero mercato, ha assunto dopo lo sbarco di Uber in Italia.
La multinazionale ha tentato di accreditarsi come fornitrice di un terzo tipo di servizio: quello di trasporto privato non di linea, inammissibile alla luce della disciplina in vigore. E proprio qui si inserisce l’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sempre più insistente nel proporre il riconoscimento del trasporto privato non di linea, nel quadro di un sistema di regole capace forse di tutelare il consumatore, ma non certo di proteggere il lavoro.
Un primo intervento riguarda il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza (ddl concorrenza), che il governo dovrebbe predisporre annualmente a partire dalle indicazioni fornite proprio dall’Autorità[12]. Ebbene, tra le indicazioni, nel 2014 compare l’invito a rivedere la legge quadro del 1992 in un suo aspetto qualificante: si vorrebbero “abolire gli elementi di discriminazione competitiva tra taxi e noleggio con conducente in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi”. Il tutto per assecondare “le tendenze evolutive dei mercati guidate dal cambiamento tecnologico”, quindi con aperture ai servizi offerti dalla multinazionale statunitense: in particolare per la proposta di eliminare “l’obbligo di ricezione della prenotazione di trasporto per il servizio ncc presso la rimessa”[13].
Non sappiamo ancora se il legislatore accoglierà queste indicazioni. Il ddl concorrenza, dopo numerosi rinvii, verrà discusso la prossima settimana dall’aula del Senato. Speriamo non sia questa l’occasione per mettere mano alla disciplina del trasporto pubblico non di linea, promessa dal governo per mettere fine alla protesta dei tassisti contro il Milleproroghe, o che comunque ciò non avvenga nel solco della strada indicata dall’Autorità garante. Se così fosse le aspettative dei tassisti sono destinate a essere frustrate, e i conflitti con il governo a rifiorire più accesi che mai.
Consumatori contro lavoratori
Recentemente l’Autorità garante delle concorrenza e del mercato è tornata sull’applicabilità della disciplina del trasporto pubblico non di linea ai sevizi offerti da Uber[14]. Ha sostenuto fra l’altro che producono “evidenti benefici concorrenziali per i consumatori”, da amplificare mettendo in competizione i taxi e gli ncc (quindi Uber-Black), e accettando Uber-Pop come forma di “trasporto privato non di linea”.
Per l’Autorità questo tipo di trasporto deve essere valorizzato in quanto pratica di economia condivisa assimilabile al car pooling, da ammettere anche se “il servizio è reso ad un prezzo che non serve esclusivamente a coprire il costo dell’itinerario percorso”. E anche Uber-Black andrebbe favorito, almeno per aumentare la competizione tra ncc e taxi, da incentivare eliminando per il primo l’obbligo del rientro in rimessa[15].
Sembra dunque probabile che, nel ridefinire la disciplina del trasporto pubblico non di linea, il governo finirà quantomeno per riconoscere Uber-Black, e comunque per alimentare la concorrenza tra taxi e ncc. Certo, si potranno nel contempo definire standard accettabili di tutela del consumatore, oltre che apposite misure di tipo fiscale, ma difficilmente lo stesso avverrà per la tutela dei lavoratori. Questi ultimi saranno anzi ulteriormente precarizzati per effetto di una pratica utilizzata da Uber: quella per cui i passeggeri possono valutare gli autisti (cd. sistema reputazionale). Con il risultato che la loro capacità di produrre reddito, e al limite di conservare l’occupazione, dipenderà da non meglio definiti giudizi, e spesso pregiudizi, dei clienti circa la qualità del servizio ricevuto.
Insomma, la riduzione del cittadino a consumatore è l’anticamera del conflitto tra lavoratori e consumatori. Peraltro il consumatore è tale solo se ha i mezzi per esserlo, mezzi che possono derivare solo dal lavoro. E questo non è certo il caso di chi, per fare spazio al nuovo che avanza, viene precarizzato e svalutato, e in fin dei conti ridotto allo “schiavo ascetico ma produttivo” di marxiana memoria[16].
Per le note citate nell’articolo si prega di fare riferimento alla fonte: LINK
Ringraziamo il Professor Alessandro Somma per l’articolo
Alessandro Somma
Full Professor of Comparative Law
University of Ferrara, Italy
http://ferrara.academia.edu/AlessandroSomma
Ultima modifica: 23 Febbraio 2017