Caro Direttore, le scrivo dopo aver letto il suo ultimo editoriale dove parla di licenze taxi da liberalizzare. Premetto che il nostro settore è pronto da qualche anno – non da oggi dunque – a rafforzare la genetica e ontologica integrazione col trasporto pubblico di linea. Altresì, non dimentichiamoci che quando parliamo di mobilità a Firenze, si parla di una città che nell’ultimo decennio ha compiuto la scellerata scelta di perdere il controllo del trasporto pubblico di linea, trasformando in gravissimo costo sociale di inefficienza, quello che era un importante costo finanziario amministrativo. Un qualcosa che prima rispondeva a logiche di necessità cittadina, ed oggi risponde a logiche di profitto. Però non capisco la sua uscita. Forse è una sorta di “aiuto” all’Amministrazione cittadina per attuare il nuovo piano mobilità, ma, a parte il cinismo di non considerare che siamo a cospetto di lavoratori e famiglie che, ovviamente, come tutti, sono già abbastanza affrante e preoccupate, mi creda, non ve n’era proprio bisogno. L’idea di compensare i tassisti con una copertura dell’investimento per la licenza, a carico dei cittadini – soluzione che in ogni caso compete al legislatore nazionale e non al Comune -, viste le prospettive di mercato, e visto che circa il 70% di noi è ancora indebitato con il sistema bancario, potrebbe oggi trovare una interessata disponibilità, ma, mi dimenticherei io in primis di tutelare il servizio pubblico taxi che amo, e sopratutto, non può essere questo l’unico dato a cui dovrebbe guardare un amministratore pubblico.
Questa sua idea ci offre lo spunto per aprire un dibattito sulle cause della crisi che oggi tutti noi – non i tassisti, non i fiorentini o gli italiani, ma tutta l’umanità! – stiamo affrontando, anzi, direi, subendo. Dibattito, sinora comodamente cassato. Infatti, vediamo coloro i quali di questa crisi epocale ed esistenziale sono corresponsabili per il ruolo rivestito negli ultimi decenni di nocchieri della carrozza, ancora nella medesima posizione, o comunque, con spudorata baldanza, continuare a pontificare. Come se niente fosse successo in questi anni. Questa crisi, invece, ci offre finalmente la grande occasione per capire quanto la ricetta globalista, liberista, finanziarista e rigorista, attraverso l’assenza di regole nei settori da predare, e di iper-burocrazia in quelli da ingessare (tipico del liberismo ottocentesco col “calcio alla scala”), ed ancor prima attraverso la rimozione di un principio di etica pubblica del Bene Comune – alfieri, questi, del culto liberista da anteporre a tutto -, fosse sbagliata. Da anteporre innanzitutto alla salute, di cui la gravissima carenza sanitario-infrastrutturale é lì oggi a piangere e urlare il proprio dolore sul corpo dei morti che potevano non esserci; da anteporre alla cura (manutenzione e sviluppo) delle infrastrutture – i ponti, viadotti, strade e lungarni crollati nell’ultimo quinquennio erano lì, anch’essi talvolta purtroppo con i loro morti, erano campanelli di allarme -; da anteporre alla qualità della vita di persone e famiglie, già vittime da anni, alla sera, alla domenica, del “distanziamento sociale” imposto dalle riforme liberiste del diritto del lavoro, perché il pil aveva da crescere (ma che comunque non cresceva, perchè non era quello il vero modo per farlo crescere); da anteporre ad una reale salute delle finanze pubbliche, disintegrate dai debiti finanziari in derivati contratti sia a livello centrale che locale dalla metà degli anni ‘90, e che venivano a far crescere il nostro debito pubblico nonostante gli impareggiabili tagli allo stato sociale (tanto da essere l’Italia il paese ad aver registrato più bilanci in avanzo primario al mondo dal 1995!).
Allora ci dobbiamo mettere d’accordo: o l’attuale crisi sanitaria, tra le altre cose, è stata provocata dalle scelte scellerate degli ultimi anni, e allora non possiamo continuare a veder pontificare chi di quelle scelte è responsabile, e continuare col culto liberista di quelle ad ispirazione, oppure, come io credo, dobbiamo (costituzionalmente fra l’altro) distaccarci da tutto ciò e cambiare direzione.
E allora, tornando al mio settore: siamo riusciti finanche in sede europea, le cui agitazioni liberiste sono a tutti note – e i cui risultati si vedono -, a far comprendere che sono la sicurezza della persona trasportata e l’universalità del servizio, i primi fattori a cui si debba guardare – cose che si possono garantire solo col sistema delle licenze, la prima, e della tariffa regolata, la seconda (pensi senza questa garanzia, oggi, quanto potrebbe chiedere un tassista al cittadino impaurito in cerca di un sicuro mezzo di trasporto?) – e lei oggi viene a proporre la liberalizzazione delle licenze? Cioè, uno dei pochi settori non rimasto vittima dell’orgia liberista, dove solo il più ricco ha potuto arbitrariamente, senza regole, godere delle sue schiave, nonostante questa crisi epocale, lo si vorrebbe sottoporre al medesimo trattamento? Perdoni, ma allora questa crisi, con la sua tragedia, non è davvero servita a niente, e la via della redenzione è ancora lunghissima.
Claudio Giudici
Presidente nazionale Uritaxi