Le prossime settimane saranno decisive per il futuro del settore taxi, perché due gravi pericoli si affacciano di fronte a noi:
In merito al primo punto, sarà facile capire chi stia con i tassisti italiani e chi no. L’unico rischio da evitare sarà la vaghezza della politica, ed in particolare del Governo. Esso, come già fattoci intendere durante l’ultimo incontro in videoconferenza col M.I.T., potrebbe procrastinare il più possibile qualsiasi decisione politica, per crearsi il comodo alibi di una magistratura che a breve tornerà a pronunciarsi sulla questione, trattando la causa che coinvolge i radiotaxi romani. Ma appunto, di un mero alibi si tratterà, poiché se Governo e maggioranza vogliono, possono impedire per via legislativa la distruzione del settore, che il venir meno di quella clausola comporterà.
Diversamente, in relazione al secondo punto, c’è bisogno di spendere qualche parola in più, rileggendo i passaggi fondamentali della nostra storia dal 2006 ad oggi.
Sono stati fondamentalmente quattro i momenti salienti del settore taxi nell’ultimo quindicennio. Li possiamo suddividere in due differenti tappe di politica sindacale: i tentativi di destrutturazione di Bersani e Monti, a cui rispondemmo con logiche di lotta rivendicativa, dove il legislatore si pose secondo un “così ho deciso!”, ed i tassisti italiani scesero in lotta per poi spingere le loro rappresentanze sindacali a detonare quelle bombe; le novelle introdotte dal Governo Berlusconi col famoso art. 29 co. 1-quater e dal Governo penta-leghista Conte con la legge 12/2019, dove abbiamo assunto il ruolo dei legislatori secondo logiche di tipo concertativo.
Il paradosso di questi momenti caldi del settore, è che alla fine abbiamo ottenuto molto di più quando siamo scesi in lotta, che non quando ci siamo seduti al tavolo (truccato) della politica. Nel caso del 29 co. 1-quater, fummo addirittura legislatore “monocratico”, cioè senza aver il bisogno di concertare niente con nessuno, ma la norma non ha mai trovato effettiva applicazione da parte del contesto politico-amministrativo. Nel caso della l. 12/2019, dove la concertazione con altri interessi (n.c.c. e multinazionali) è stata effettiva, le uniche parti della nuova normativa che hanno trovato applicazione sono state quelle riconducibili agli n.c.c. (territorialità divenuta da comunale a provinciale, foglio di servizio multiplo, deroghe temporali alla normativa) e alle multinazionali (rimesse multiple), ma niente di ciò che serviva a tutto il comparto per combattere i fenomeni di abusivismo (cosa che interessava particolarmente al settore taxi) ha trovato applicazione. Sia chiaro, in questi due momenti “concertativi” del 2009 e del 2019, è apprezzabile e meritevole di gratitudine l’operato di chi ne è stato attore sindacale e politico. La riflessione che Uritaxi propone, e che invero già ha proposto con minor grado di dettaglio durante il Parlamentino unitario del giugno scorso, ha lo scopo di evitare che si ripeta l’errore che, purtroppo, è già in formazione da tempo, di illudersi di poter fare i legislatori dentro un processo concertativo con una classe politica non affidabile e rispettosa soltanto di logiche di forza.
Dunque, i decreti attuativi, così come il Dpcm sulle piattaforme, devono essere oggetto di scrittura del Governo e non frutto della pia e recidiva illusione di poterli scrivere noi, partecipando ad un tavolo a cui parteciperanno, senza esser fisicamente presenti, anche le ben più “convincenti” multinazionali. A questo tavolo, il decisore politico ha più volte fatto trapelare di non voler mettersi dalla parte della legalità, dei lavoratori e delle loro strutture economiche. Se questi decreti saranno l’iniqua risposta ai desiderata delle multinazionali straniere, gli strumenti più decisi della lotta rivendicativa dovranno essere la risposta di tutti i tassisti italiani e delle loro rappresentanze sindacali.
Claudio Giudici
Presidente nazionale Uritaxi