Lunedì 3 agosto, ore quindici circa: arrivo a Fiumicino con un volo da Palermo. In aeroporto tutto fila alla perfezione. La trappola mi aspetta fuori, e scatta quando decido di prendere un taxi. In attesa in testa alla fila c’è un minibus, una Opel Vivaro fatta per trasportare otto persone oltre all’autista. Strano, accanto alla portiera che «slitta» sulla fiancata ci sono un uomo e una donna che discutono animatamente.
Non importa, penso io, tanto in questa fila ci sono soltanto i taxi regolari. Comincio a capire che qualcosa non va quando l’autista fa salire al suo fianco la giovane donna che avevo visto prima, senza dedicarmi la minima spiegazione. Bisogna conoscerli, questi minibus. Se stai seduto dietro, nella fila di mezzo, non vedi assolutamente nulla di quanto accade in quella del posto di guida. Hai davanti un muro, e quando decido di passare alla controffensiva chiedendo dove sia il tassametro (peraltro inutile sul tragitto Fiumicino-Roma) , il «tassista» mi risponde scocciato che non lo vedo perché è spento. Io mi metto comodo e mi rassegno, tanto la strada è quella giusta e più di 48 euro non tirerò fuori, cosa mai può capitarmi?«Mi ha dato dieci euro, non cinquanta»
Ingenuo! Ho dimenticato che siamo nell’agosto romano, nella stagione prediletta dei truffatori (italiani, sia chiaro) che da ogni parte convergono sulla capitale. Ma torniamo su quel «taxi», perché la scena madre sta per arrivare. Faccio in tempo a notare che all’interno non ci sono i documenti che normalmente stanno sul retro del sedile anteriore, rivolti verso il cliente. Ma non c’è più tempo, siamo arrivati. Prendo un biglietto da 50 euro e lo consegno all’autista, il quale mezzo secondo dopo mi fa vedere dall’alto della barriera del sedile anteriore un biglietto da 10 euro evidentemente preparato in precedenza. Guardi che le ho dato 50, no mi ha dato 10, ho visto anch’io che gli ha dato 10, interviene la donna. Chiamare il 113? Lui ha un testimone anche se non dovrebbe essere a bordo, io non ho prove. Mi prendo i 10 euro, ne mollo altri 50 e a conti fatti la corsa mi costa 88 euro invece di 48. Il «taxi» parte sgommando, quasi scappa, ha sul retro un numero di licenza (il 380) falsificato perché privo dello scudetto comunale. Insomma ho viaggiato, e nemmeno da solo, su un minibus bianco camuffato da taxi. Non siate, cari lettori, arrendevoli come sono stato io. E poi mi piacerebbe che qualcuno spiegasse al Corriere come mai quel veicolo, del quale non ho fatto in tempo a prendere la targa, fosse in attesa nella fila dei taxi veri. L’aeroporto di Fiumicino non ha bisogno anche di questo.