Avevamo mandato una nota scritta al programma televisivo di Mediaset, Le Iene, all’indomani del servizio della scorsa settimana, del 30 novembre. Per quanto abbiano più volte parlato di “mele marce”, di tassisti come una categoria che “al 90%” sia fatta di lavoratori onesti, è evidente che si è trattato di un altro servizio ad orologeria, che come sempre arriva nel pieno di una vertenza dei lavoratori, non per mettersi dalla loro parte, capirne le ragioni – e lo si fa rivolgendosi anche e soprattutto ai rappresentanti sindacali – ma per interdirne la capacità rivendicativa. Diciamo, un giornalismo fintamente d’inchiesta, funzionale ai giochi di potere. Peccato, poteva essere un’occasione anche per loro per capire un settore di grande qualità, i cui lavoratori sono specchio della società, nel tanto bene e nel poco male. Avrebbero capito anche che i primi danneggiati da certi personaggi, siamo noi, ma che essi, evidentemente, faccia comodo averli ad ambienti che con noi non hanno niente a che fare…
Alla c.a. dei Sigg. Antonino Monteleone e Marco Occhipinti de “Le Iene”
Oggetto: vostro recente servizio tv “Più concorrenza? Cosa c’è dietro la protesta dei taxi”.
Firenze, 2 dicembre 2021.
Gent.mi Signori,
in merito a quanto in oggetto, chiudendo lo stesso con un “to be continued…”, spero troverete il tempo per poter leggere questa mia, dichiarandomi fin d’ora disponibile ad ulteriori chiarimenti in materia.
Durante il vostro servizio ponete una serie di quesiti più o meno retorici, a cui proverò a rispondere, uno ad uno, per punti.
1. “Che vantaggi dà il fatto che quello dei tassisti sia un mercato a numero chiuso?”
Il mercato del servizio taxi è chiuso in ogni paese civilizzato (solo la Svezia fa eccezione), per ragioni di tutela dell’utenza sul fronte dell’universalità e della sicurezza del servizio. Il legislatore storicamente grava il servizio taxi di obblighi anti- economici per l’operatore, come: a) una tariffa amministrata, che sia invariabile in funzione della domanda di servizio: essa cioè non può aumentare negli orari di punta, durante la pioggia, all’uscita dal ristorante il sabato sera, ecc; b) l’obbligo di servizio: qualsiasi sia la destinazione interna al comune autorizzante, il servizio, per quanto non vantaggioso, deve essere espletato: si pensi ad una corsa molto breve pretesa dall’utente, dopo una lunga attesa del tassista al posteggio, o comunque non conveniente perché fuori dal “fulcro” del lavoro; c) l’obbligo di copertura del turno di servizio: la copertura del servizio vi deve essere anche durante gli orari “morti”, come la seconda parte della mattinata o nel primo pomeriggio quando i cittadini sono a lavoro, o la notte, quando, fatta eccezione per i venerdì ed i sabato sera, le città dormono, ma un cittadino potrebbe avere necessità di andare al pronto soccorso, in una farmacia, o per qualsiasi altra necessità. Questi obblighi, che non gravano sulle attività sottoposte a regime di libero mercato, sono invece compensati nel caso dei taxi (e degli altri mercati regolamentati a tutela di diritti primari come quello al movimento) dal cd. numero chiuso. Nel caso delle multinazionali del trasporto, questi obblighi vengono a mancare e così il prezzo varia in funzione della domanda di servizio, grazie ad un sistema d’asta algoritmico: questo comporta che solo chi abbia disponibilità economica tale da accettare il prezzo che l’offerente del servizio intendesse in quel dato momento praticare, vedrà soddisfatto il proprio diritto di movimento. Altresì, senza obbligo di servizio, l’offerente deciderà oppure no se fare il servizio, e se non lo riterrà conveniente, potrà richiedere quanto più gli convenisse. Infine non rispetterà alcun obbligo di copertura del servizio. Mentre le scrivo, per esempio, sono circa le due di notte di mercoledì, e sono operativi su Firenze 65 taxi, di cui 6 fermi al posteggio in cui mi trovo, in attesa di un cliente. Uber, che ha ripreso operatività su Firenze, al momento non presenta neanche una vettura in servizio (dato rilevabile dalla sua app)…
A parte queste ragioni di carattere economico, la ragione del regime chiuso, è anche legata al fattore sicurezza. Una vettura autorizzata al trasporto può trasformarsi in una bara per l’utente, soprattutto se debole, se non guidata da persona che abbia certi requisiti morali e professionali (diciamo, “che abbia qualcosa da perdere”). È per questo, per esempio, che Uber è stata costretta a dichiarare oltre 6000 violenze sessuali negli Stati Uniti in soli due anni (circa 10 al giorno!) da parte dei propri driver.
2. “Non abbiamo capito perché i tassisti siano scesi in piazza.”
I tassisti attendono dalla riforma conclusasi legislativamente nel febbraio 2019, i decreti attuativi volti a mettere un punto al problema dell’abusivismo nel settore. In quella riforma i tassisti lasciarono sul campo diverse cose, proprio a vantaggio di chi operava a dispetto delle norme allora vigenti. In cambio, ottennero la promessa a cose di buon senso, come per esempio: un registro nazionale degli operatori autorizzati; una regolamentazione sulle piattaforme tecnologiche. Se dopo un’attesa estenuante di tre anni, durante la quale i tassisti hanno anche, per un anno e mezzo, responsabilmente congelato le loro richieste, causa pandemia, si ritrovano, invece di quanto promesso e dovuto dalle istituzioni, l’annuncio di una nuova riforma normativa (per quanto non conosciuta in dettaglio da nessuno, ma ben evincibile dai principi presenti nel ddl concorrenza), può risultare strano che i tassisti scendano in sciopero?
3. “Perché le multinazionali vedono spazio nel tpl non di linea?”
Questo spazio dal punto di vista strettamente normativo non vi sarebbe e dovrebbe essere giusto che non vi fosse, alla luce di quanto spiegato al punto 1). A meno che, come di fatto sta avvenendo in diverse nazioni, ma per fortuna non in tutte, non si accetti che in uno stesso mercato alcuni operino con regole di favore e dunque facendo concorrenza sleale. Ma è l’ideologia della “disruptive economy” che concepisce come benefico il violare le leggi per forzarle ed adattarle alla legge del più forte. Perché di questo si tratta! Fu il fondatore di Uber stesso, Travis Kalanick, a dirlo: “Noi non seguiamo le leggi, ma le modifichiamo!”. Nel modello Uber e delle altre multinazionali, la “distruzione creatrice” non avviene per avanzamento tecnologico! Infatti, non c’è alcun avanzamento tecnologico, almeno per l’Italia, rispetto a ciò che già i tassisti non offrissero: i tassisti italiani sono dotati di app dal 2012 (ItTaxi, AppTaxi, InTaxi sono le principali), dunque ben prima dell’arrivo di Uber in Italia.
Seguono poi una serie di vostre affermazioni e domande che potremmo definire, talune ingenue, altre frutto di pregiudizio verso il servizio taxi italiano.
4. “Il mercato si autoregola.”
Vediamo quanto sia vera questa affermazione proprio in relazione al caso newyorkese, che è un po’ il modello verso cui ci vogliono portare.
Giorni fa, proprio a New York, la città simbolo della contraddittoria e violenta dottrina della “distruzione creatrice”, se n’è vista tutta la sua ingiusta e socialmente deteriorante strumentalità a mega interessi finanziari che non portano vantaggio né a lavoratori né a consumatori. I tassisti newyorkesi esultavano per aver ottenuto – dopo l’ennesimo suicidio che da mesi e anni caratterizza il loro settore dall’avvento dell’uberizzazione – una ristrutturazione dei loro debiti da parte del sindaco De Blasio. Una vittoria? No, la tragica e scontata conseguenza dell’aver sottoposto per un decennio i tassisti newyorkesi, gravati da diseconomiche regole di servizio a garanzia della clientela, alla sleale concorrenza di multinazionali che a quelle stesse regole non sono sottoposte. Queste hanno stracciato i prezzi per un po’ di tempo, provocando entrate da fame ai loro autisti, tanto da avere un roll over di oltre il 90%: nel 2017 solo il 4% di loro ha continuato a lavorare per una di esse dopo un anno di attività. Esse hanno così sbaragliato la concorrenza dei tassisti. Ma al danno si è aggiunta la beffa, perché se i tassisti sono di fatto finiti in bancarotta, oggi i prezzi offerti da queste multinazionali sono generalmente più alti dei taxi. Dunque, il mercato deve essere comunque giusto, e prevedere regole uguali per gli stessi operatori: o Uber e gli altri contendenti vengono sottoposti alle regole dei taxi, oppure, si liberano i taxi dai gravami a tutela dell’utenza a cui sono sottoposti.
5. “In nessuna città d’Europa io faccio la fila che faccio a Termini quando arrivo alla sera tardi!”
Potete effettuare una veloce ricerca sul web e troverete le code a New York, Sydney, Toronto, Ibiza, Victoria, Toronto, Parigi, Berlino, Bruxelles, ecc. oppure posso mandarvi un po’ di foto io.
6. “Il prezzo delle licenze è troppo alto!”
Il mercato delle licenze, primariamente, non esiste solo in Italia, ma in molti altri paesi civilizzati. Su di esso, oltre al numero chiuso, incide il livello di efficienza del servizio: tanto più è efficiente in relazione al numero dei taxi e tanto più il servizio è gradito e dunque utilizzato. Al di là dei facili stereotipi, il gradimento in Italia del servizio taxi è altissimo: tra l’80% ed il 90% a seconda delle città analizzate. Ogni indagine demoscopica fatta da istituti specializzati indipendenti, conferma ciò. Questi dati sono il frutto dell’eccellente modello italiano centrato sulle due figure (artigianato e cooperazione) promosse dall’art. 45 della Costituzione, a cui i tassisti si sono rifatti. Grazie all’economia di scala prodotta, essi hanno sempre investito in tecnologia e qualità del personale addetto delle loro cooperative. Ad oggi, i 40mila tassisti italiani, dando lavoro a 2500 persone (nessuna licenziata durante il disastro della pandemia), investono ogni anno 160milioni di euro in una infrastruttura tecnologica di pubblico interesse che però alla collettività non costa niente. Questi sono tutti valori, sia sociali che economici, che il modello “snello” della massimizzazione del profitto delle multinazionali mai darebbe.
7. “Sai qual è in economia il modo per fare costare meno la licenza? È che uno chiede la licenza e la ottiene!”
Abbiamo visto che questo modello non esiste nelle economie avanzate e non sia né civile né sicuro per un mercato come quello del trasporto pubblico non di linea.
8. “È meglio preservare l’interesse dei tassisti o quello degli utenti?”
Si capirà che questa domanda è mal posta e che non vi è antitesi tra l’interesse dei lavoratori e quello dell’utenza: per tutelare primariamente il diritto alla mobilità ed all’universalità del servizio, sono individuati dal legislatore dei contrappesi a favore dei tassisti, per colmare l’anti-economicità degli obblighi gravanti su di essi. Se si fanno venire meno i contrappesi, allora devono venire meno anche gli obblighi a tutela dell’utenza, perché altrimenti istituzionalizziamo ex lege una concorrenza sleale (guarda un po’: a sfavore dei tassisti piccoli imprenditori artigiani, ed a favore dei colossi multinazionali!).
Restando a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti relativi a questi punti, porgo i miei migliori saluti.
Claudio Giudici
Presidente nazionale Uritaxi