A quanto pare, le aziende che dipendono principalmente da sussidi di capitale di rischio per offrire corse in taxi a basso costo non sono grandi investimenti a lungo termine.
LINK ALL’ARTICOLO 27 MAGGIO 2022: https://www.vice.com/en/article/m7vmpb/uber- and-lyft-are-out-of-ideas-jacking-up-prices-in-desperation-for-profit
TRADUZIONE UFFICIO STUDI URITAXI, a cura di Ivo Speziali
Un recente articolo del Wall Street Journal su due colossi della tecnologia un tempo pubblicizzati con grandi aspettative ed enfasi, illustra che un’intera classe di loro investitori sia diventata più scrupolosa sulla parte economica. Due società quotate in borsa con capitalizzazioni di mercato di decine di miliardi di dollari, nonostante non si siano mai avvicinate minimamente ad un profitto, stanno aumentando i prezzi e quindi facendo crollare la domanda da parte dei clienti. Questo, nel vano tentativo di trasformare il proprio servizio deficitario in uno con enormi utili al fine di ripagare un’azienda dalla struttura sovra-dimensionata e con spese aziendali gonfiate che propone un servizio che ha valide e più convenienti alternative sul mercato.
Si sta scoprendo che è una proposta commerciale davvero di m***a.
Sto parlando, ovviamente, di Uber e Lyft. Le tariffe sono a livelli record, secondo il Wall Street Journal che riporta i dati estrapolati da un’indagine di terze parti (Uber e Lyft non riportano tali dati). Il ride-hailing è un’attività molto sensibile al prezzo, perché la maggior parte delle volte le persone hanno numerose alternative: andare a piedi, utilizzare biciclette, mezzi pubblici o auto private. Quindi, a causa del vertiginoso aumento dei prezzi, il servizio è in grave sofferenza. “Analisti ed investitori si chiedono quanto sia effettivamente grande il mercato del ride-hailing e quanto a lungo Uber e Lyft possano continuare ad operare senza perdere denaro”, osserva il Wall Street Journal.
Questa è una domanda che molti di noi si pongono da molto tempo. Uber e Lyft sono sempre state una proposta piuttosto “primitiva”: sovvenzionare le corse in taxi non profittevoli con capitali di rischio, conquistare quote di mercato ed alla fine cercare di trovare in qualche modo la soluzione fantasiosa che possa rendere redditizie tali corse in taxi, in barba all’enorme struttura aziendale fatta di dirigenti e ingegneri strapagati; cosa che le compagnie di taxi tradizionali con margini già molto esigui non hanno.
Un tempo, sembrava che sia Uber che Lyft stessero puntando tutto sullo sviluppo dei veicoli a guida autonoma. In effetti, sembra ancora che per loro si tratti della gallina dalle uova d’oro. In realtà si scopre che lo sviluppo della guida autonoma non è stato finora altro che un pozzo senza fondo in cui sono stati gettati miliardi di dollari e che ha solamente portato alla morte di una persona durante le sperimentazioni. Entrambe le società hanno svenduto le loro componenti di sviluppo per la guida autonoma ad un valore infinitamente più basso del loro stesso investimento, mirato a sostituire il conducente tradizionale con i robot. Sono anche scettico sul fatto che ciò condurrebbe ad un effettivo risparmio aziendale, dal momento che l’attuale modello di business riversa tutti i costi di gestione sui conducenti che pagano di tasca propria auto, carburante e assicurazione, mentre con la guida autonoma l’azienda si dovrebbe sobbarcare tutti i suddetti costi; è un punto piuttosto controverso.
Dopo la debacle sulla guida autonoma, Uber e Lyft sono tornati alla carica sul come far quadrare i conti su domanda e offerta del servizio ad un prezzo che le renda redditizie. Uber dice di voler diventare “l’Amazon dei trasporti”. Bisogna infatti anche considerare la breve disastrosa incursione nel bike sharing elettrico, che non è stato altro che l’equivalente economico di acquistare per poi distruggere migliaia di biciclette. Lyft ha compiuto uno sforzo più concentrato ma altrettanto poco efficace per diversificare l’attività attraverso il bike sharing, poiché continua invano a tentare di fronteggiare quelle fastidiose perdite trimestrali con scarso successo.
Dalla loro fondazione nel 2009 e nel 2012, Uber e Lyft hanno raccolto oltre 30 miliardi di dollari in finanziamenti privati, secondo Crunchbase. Anche con quel mucchio di contanti però, nessuna delle due società ha mai registrato un profitto reale e coerente, solo profitti “aggiustati” che escludono dozzine di spese reali come tasse e pagamenti di interessi. Questo quando il contesto economico e lavorativo più favorevole rendeva più agevole realizzare un minimo profitto, non come nella situazione attuale.
Il problema fondamentale in cui continuano a imbattersi Uber e Lyft è che la maggior parte delle persone non sarebbe mai disposta a pagare le tariffe effettive di mercato che consentirebbero di gestire un servizio taxi redditizio con le spese generali richieste da Uber e Lyft (senza considerare un eventuale pagamento di un salario decente agli autisti). E le alternative che entrambe le società stanno ancora promuovendo, come le famose “corse condivise”, non sono idee nuove ma terribilmente vecchie e riciclate tanto da rivelarsi ancora più costose. Infatti, si è scoperto che le persone nelle aree urbane sono piuttosto sensibili al tema “prezzo” e che se sono disposte a condividere un veicolo con estranei a quel punto opteranno per l’alternativa più economica: l’autobus. Il risultato finale è un algoritmo che offre uno sconto per viaggiare in un’auto che prevede di avere più passeggeri, ma il più delle volte si tratta solo di una corsa in taxi per un solo occupante. In definitiva è solo un’altra fonte di perdita per le aziende che lottano per ideare nuovi modi per fare soldi.
Ci sono due percorsi fondamentali per queste aziende. Uno, che Uber sta attualmente perseguendo , è quello di diventare l’app che si utilizzava per chiamare un taxi prima dell’avvento stesso di Uber.
L’altro è rivolgersi alle classi benestanti di cittadini che vivono nelle metropoli, che potrebbero pagare prezzi elevati per la comodità e il lusso extra delle auto nere su richiesta. Non rivoluzionerà minimamente il settore dei trasporti e non servirà a perseguire nessuno degli obiettivi di equità che entrambe le società si erano prefissate da tempo a questa parte. SI tratta però di un’attività orientata al mercato con un potenziale di profitto sicuro, ma certamente molto limitato. È anche un’idea che esisteva già, una volta gestita da una coraggiosa startup che si concentrava esclusivamente sui servizi di “Black Car” da parte di conducenti esperti, con licenza e assicurazione, oltretutto pagati con un salario decente. Potreste averne sentito parlare: si chiamava Uber.