Durante le vacanze natalizie la stampa cd. specializzata si è profusa in commenti, analisi e proposte a cui abbiamo prontamente sempre detto la nostra attenzionando a istituzioni, stampa e operatori del settore il nostro punto di vista. Dopo Il Sole 24 Ore e il Wall Street Journal, anche Linkiesta, con una proposta a firma dell’Istituto Bruno Leoni, ha parlato del settore taxi. Esiste però un trait d’union tra tutti questi articoli: l’ideologia liberista dominante, nonché collegamenti con la multinazionale americana Uber.
Egr. Direttore,
ancora una volta l’approccio dell’Istituto Bruno Leoni sui taxi risulta mosso da fervore ideologico e tanti stereotipi. Citare l’articolo del Wall Street Journal di Santo Stefano, dove si erge il servizio taxi a simbolo/causa della trentennale stagnazione economica italiana, dovrebbe far sorridere chiunque abbia un minimo di equidistanza al tema taxi ed a quello economico più in generale. Infatti, il servizio taxi pesa circa lo 0,06% del pil nazionale: ci pare obiettivamente poco per bloccare la sesta economia più liberalizzata d’Europa. Sì, anche quest’ultima è una notizia per chi, come IBL, considera l’Italia “irriformabile”. Non lo è e IBL dovrebbe saperlo bene visto che nel 2021 riprese l’indagine di Epicenter che metteva l’Italia tra i primi posti delle economie più liberalizzate in Europa. Eppure non cresce, si potrebbe dire! Il prof. Emiliano Brancaccio, con nota di colore ha definito i liberisti come i brezneviani: se per questi ultimi il socialismo non funzionava perchè ci voleva più socialismo, per i primi le liberalizzazioni non funzionano perchè ci vorrebbero più liberalizzazioni!
Nello specifico del servizio taxi, nell’ottobre scorso l’indagine demoscopica Emg/Adnkronos ha rilevato un indice di gradimento per i taxi italiani del 71%. Nel febbraio precedente, Lab21.01 rilevò un gradimento dell’83%, con l’88% degli intervistati di ben sedici città, che rispondeva di avere un taxi entro sei minuti (4° rapporto annuo commissionato da Uritaxi). Al di là dei luoghi comuni e di una campagna di stampa che definire demonizzante è eufemistico, ci paiono dati di tutto rispetto per i lavoratori e le lavoratrici del settore.
Sgombrato il campo da certi stucchevoli stereotipi, va immediatamente ricordato che la stessa nota direttiva Bolkestein esclude dalla liberalizzazione, tra gli altri, anche tutti i servizi di trasporto, compresi i taxi. In generale, taxi e n.c.c. (private hire vehicles in Europa) non sono liberalizzati nel nostro continente. Poi, la normativa italiana prevede già la possibilità per i piccoli comuni di avere un servizio taxi con regole meno rigide, al fine di favorirne una altrimenti difficile sostenibilità economica. Infatti, nei comuni in cui manchi il servizio taxi, essi possono adibire il servizio n.c.c. a servizio taxi, senza tassametro e con la possibilità di sostare su piazza. Ma cerchiamo di capire se davvero manchi un’adeguata offerta di servizio. Il ricorso a tale snellimento normativo risulta già molto diffuso, ben oltre le effettive necessità, se consideriamo le cronache a riguardo. Infatti, ciò che avviene è che gli n.c.c. autorizzati, non trovando presso le loro piccole comunità locali una costante e sostenibile domanda di servizio, migrano stabilmente nei grandi comuni italiani generando un problema di abusivismo e di concorrenza sleale verso i taxi e gli n.c.c. regolari di questi comuni (i costi e la fiscalità di quelli è infatti determinata su indici provenienti dai piccoli comuni e non dai grandi in cui si trasferiscono).
IBL però va oltre, proponendo il ricorso ad autisti non professionali, ossia Uber Pop. Questo è generalmente vietato e bandito in Europa per i problemi di sicurezza che questa figura non professionale ha generato. Un veicolo può trasformarsi in una cassa da morto se chi lo guida non si sa chi sia e non è sottoposto a precisi controlli pubblici. Uber ha dovuto per esempio riconoscere negli Stati Uniti circa seimila casi di violenze sessuali registrate nel solo biennio 2017-18 (sono circa dieci al giorno!) e l’agenzia dei trasporti di Londra ha dilazionato nel tempo la licenza ad operare per la multinazionale, che il sindaco Sadiq Khan ha più volte stigmatizzato per ragioni di “sicurezza dei clienti”.
Claudio Giudici
Presidente nazionale Uritaxi