Uno degli aspetti più curiosi, per il quale non ho alcuna spiegazione logica, è perché i tassisti siano considerati equivalenti alle streghe di medioevale memoria.
È l’unica categoria sociale che gode del disprezzo di tutti: liberisti e liberal in nome del mercato, Sinistra colta e povera perché li considera fascistoidi, il Fisco si accanisce con loro, fa analisi complicate, pur avendo a disposizione il tassametro, le élite politico-intellettuali parlano disgustate sia delle loro auto, sia dei loro fiati, i «professoroni» li prendono come cavie per dimostrare, in negativo, cervellotiche teorie economiche.
Pare che debbano guardarsi persino dai vigili urbani, oltre dagli orrendi ciclisti che si sono impossessati delle città, compiendo impunemente, ogni tipo di reato. Io sono fermo a una analisi di mio papà (valore zero, essendo lui un semplice operaio antifascista) che ascriveva a merito di Mussolini, oltre alle colonie elioterapiche per i bambini, all’architettura pubblica del Piacentini, agli investimenti sull’igiene, pure la creazione della corporazione dei tassisti.
Negli anni ’20-30 assegnò le prime licenze per le auto pubbliche a ex detenuti per un loro definitivo ricupero sociale, visto che nessuno voleva assumerli. Il tassista, in fondo, è un operaio sfigato, è costretto a fungere (è servizio pubblico) da «pronto soccorso privato» del peggio dell’umanità cittadina (drogati, ubriachi, delinquenti, etc.), guadagna quanto un operaio pur lavorando 12 ore anziché 8, ha tassi di assenteismo vicini allo zero, in luogo del classico camera/tinello/cucinino i suoi risparmi li investe nel taxi e nella licenza (le sue macchine utensili), sciopera un centesimo degli altri, non ha alcun diritto sociale, men che meno il mitico art. 18, persino la toilette per lui è oscenamente random.
Ora la polemica si è riaperta, con l’arrivo di una app, dal nome inquietante, Uber. Uno degli aspetti più affascinanti di New York è andare in strada, alzare un braccio e, oplà, un taxi come d’incanto si ferma: lo confesso, in quel momento mi sento un uomo potente. Forse perché un arrogante ragazzotto, certo Travis Kalanick, l’inventore dell’app Uber, vuole costringermi a digitare qualcosa sul cellulare, e poi attendere una limousine nera, dai vetri oscurati, profumata come quelle signorine che nel ’58 certa Merlin decise di resettare?
O perché le mitiche vedove del Wisconsin vedano crescere il loro investimento, ancor prima della quotazione ufficiale, a 18 miliardi di $? Cioè quanto Hertz e Avis (a proposito, chissà quanto valuteranno la FCA di Marchionne che le auto pure le fa!). Comunque, per NY ora sono tranquillo, c’è stato l’accordo (Uber rispetterà la legge sul trasporto pubblico!), io continuerò ad alzare il mio braccino per fermare gli amati «yellow cab», anche se, per sentirmi a la page, ho usato Uber, pagando una tangente del 30%, per andare dall’hotel al Kennedy, presentandomi al check in oscenamente profumato.
Mi hanno spiegato gli amici di Wall Street che Kalanick, dopo aver superato (retrocedendo) l’ostacolo più difficile, cioè inserirsi nel trasporto pubblico dovendo però rispettare la legge, ha inaugurato, a NY, una sub-app della maxi app Uber, detta Uber Rush (io l’avrei chiamata Uber Mercury). Si tratta di consegnare, usando piedi o bici, no auto, pacchi (a Natale persino gli alberi!) da parte di ragazzotti con le ali ai piedi, intascando la solita tangente del 20-30% sul loro lavoro. È probabile che la prossima mossa sarà consegnare i prodotti dei negozi ai clienti, in concorrenza con Amazon Fresh, il servizio di spesa on line lanciato dal mitico Bezos.
Mi guardo allo specchio, e temo di scivolare verso lo status di liberale di serie B: infatti non provo alcun orgasmo a veder declinare il concetto di concorrenza in questo modo, non mi eccito di fronte a business-men 3.0 come Bezos o Kalanick, che vivono di tangenti (è troppo dire che erano meglio i padroni delle ferriere?), anzi, mi scopro cattivo, spero che le (mitiche) vedove del Wisconsin perdano i loro quattrini così investiti, allo scoppio della prossima bolla (quando arriverà, sappia, che sarà benedetta).
di Riccardo Ruggeri editore@grantorinolibri.it @editoreruggeriv
Fonte: Italia Oggi
Ultima modifica: 10 Luglio 2014