Una cosa sono le battaglie burocratiche e legali, le accuse di concorrenza sleale e le proteste. Una cosa sono i servizi veri e propri. Il vero derby fra i taxi e Uber si gioca, o meglio si dovrebbe giocare, su un solo campo: la strada.
Come sappiamo, il colosso statunitense che ormai è ridicolo chiamare startup – secondo le ultime valutazioni il suo valore starebbe schizzando a 17 miliardi di dollari – è entrato a gamba tesa in area dando la possibilità alle auto a noleggio con conducente di raccogliere passeggeri in tempo reale attraverso lo smartphone e un’apposita applicazione. Recentemente si è spinto oltre e ha buttato nella mischia anche UberPop, con cui anche i privati cittadini possono dare passaggi (a pagamento) ai fruitori dell’app.
Noi di Wired Italia abbiamo preso il servizio originario, che si chiama Uber Black e ha scatenato altrettante proteste quando è sbarcato a Milano, e lo abbiamo messo a confronto con i tradizionali taxi. Una gara su strada meneghina, ad armi pari, in un trafficato martedì mattina milanese. Due tester, Martina e Dario, hanno iniziato a giocare pesante fin da subito scegliendo un punto di partenza complicato da raggiungere tra sensi unici e strade pedonali: via Melzo, all’angolo con via Lambro. Chi conosce Milano sa quanto sia scomodo raggiungerlo in macchina. mappa Martina ha deciso di farsi trasportare da Uber, mentre Dario ha chiamato un taxi. Anzi, ne ha chiamati due.
Alla prima compagnia ha semplicemente chiesto una macchina che dopo due minuti, la metà di quanto stimato al telefono, è arrivata regolarmente, beneficiando sicuramente del parcheggio di taxi che si trova a pochi intricati metri dal punto di partenza. Il problema è che Dario era sprovvisto di contanti e il taxi, come nella stragrande maggioranza dei casi, non era dotato di Pos. È partita così la seconda chiamata a un’altra compagnia con esplicita richiesta di un’automobile abilitata al pagamento con carta. I minuti stimati sono diventati cinque, e il taxi per arrivare ce ne ha messi sei. Intanto Martina ha aperto l’applicazione e richiesto una berlina, le vetture di Uber Black.
La zona è centrale, l’orario è buono e il primo Ncc a rispondere era solo a otto minuti di distanza. Lo scherzetto dei sensi unici è però riuscito alla perfezione: l’autista, di cui conosciamo il nome perché l’app lo mostra e mette a disposizione anche il numero di telefono per eventuali necessità, ha impiegato 10 minuti per orientarsi fra le strade meneghine. L’autista non è sceso per aprile la portiera, piccolo accorgimento a cui clienti di Uber sono solitamente abituati. Pronti e via con il tassametro del taxi a 3,20 euro, mentre Uber parte da zero (ma ha una spesa minima di 5 euro). Destinazione? La stazione di Porta Genova.
Secondo Google Maps ci sono da percorrere sei chilometri. Secondo chiunque si sia mai imbarcato in un tragitto simile in un martedì mattina, dopo un lunedì di festa, alle 9 è praticamente un incubo. Le due auto, districatesi fra i sensi unici in cui erano infilate, hanno scelto lo stesso percorso: la circonvallazione interna. In linea d’aria quello più rapido, ma totalmente privo di corsie preferenziali che, spostandosi verso il centro, si potevano sfruttare per un tratto. Durante il tragitto i nostri tester in incognito hanno provato a far chiacchierare i due autisti. Dario l’ha presa larga: chi può usare la corsia riservata al servizio pubblico?, ha chiesto. Dopo poco è arrivato allo scottante argomento Uber. Il suo tassista non si è rivelato un ultrà della protesta, tutt’altro.
Ha detto che è stato giusto dichiarare fuori legge UberPop, soprattutto per una questione di sicurezza dei clienti e di garanzie assicurative. Contro le Ncc, invece, non ha nulla in contrario e non si è lamentato per i pochi controlli da parte dei vigili. E poi, ha aggiunto che dietro a Uber ci sono le multinazionali americane dell’informatica: che senso avrebbe mettersi contro i loro avvocati? Se non li puoi fermare, alleati con loro. “Invidio un po’ i conducenti di auto a noleggio – ha spiegato -. Di solito fanno viaggi più lunghi e caricano gente migliore di noi. Anzi, tutto questo baccano peggiora anche la qualità del loro lavoro, perché ora che Uber è così famoso lo prende più gente e li costringe a accettare anche corse meno vantaggiose”.
Poi la sconvolgente rivelazione: “Magari smetto e entro in servizio per le Ncc”. Certo, un tassista sui cinquemila milanesi è un campione tutt’altro che rappresentativo. Lui, inoltre, è una seconda guida: significa che un titolare di licenza si avvale della sua attività con un turno aggiuntivo al suo. Anche l’autista di Martina, stimolato a dovere, si dimostra abbastanza loquace. Come il collega che sta accompagnando Dario è abbastanza agnostico: “Quando i tassisti hanno protestato per il lancio di UberPop avevano ragione, è una cosa un po’ forzata. È successo ai Giardini pubblici, quando l’amministratore delegato di Uber ha lanciato il servizio, non so se lo ha sentito”.
Lo abbiamo sentito, lo abbiamo sentito: il teatro della protesta era il Wired Next Fest. Racconta come Uber per lui sia un modo per arrotondare: “Questa mattina dovevo portare un cliente a Malpensa, oggi pomeriggio ne ho un altro. Intanto prendo due o tre corse e vado a mangiare dei miei genitori”. Gli spostamenti verso l’aeroporto sono quelli pianificati nel modo canonico: giorni od ore prima con il cliente che si rivolge alla sede e prenota la corsa. Uber, per lui, è un’attività che in alcun modo sostituisce quella tradizionale degli Ncc. “Per alcuni dei miei colleghi non è così, però”, ha precisato. “Magari prendono macchine un po’ più vecchie e tengono l’applicazione accesa per tutto il giorno, quando hanno fatto tra i 100 e i 250 euro la giornata è portata a casa.
Forse Uber dovrebbe essere un po’ più selettivo e accettare solo automobili di un certo livello”. Martina ha provato a chiedergli quanto fosse il suo guadagno settimanale con l’app, ma non c’è stato niente da fare: dei (suoi) soldi non ha voluto parlare. Fra un confessione e l’altra, e l’imbottigliamento dopo piazza 24 Maggio, i nostri eroi sono arrivati a Porta Genova. Martina alle 9:27, Dario 7 minuti prima. Martina, utilizzando Uber, non ha dovuto estrarre il portafoglio e si è limitata a farsi aprire la portiera per scendere dalla vettura, questa volta l’autista si è ricordato del gesto. Ha speso 26 euro e la ricevuta le è arrivata qualche minuto dopo con una email. Dario ha speso 17 euro, ma per pagare ha dovuto attendere che il tassista accendesse il Pos. Minuti che gli sono costati 10 centesimi tondi tondi, visto che il tassametro al momento dell’ultima frenata segnava 16,90.
Fonte: wired.it
Ultima modifica: 23 Novembre 2014