A cosa servono le licenze dei taxi e perché esistono ancora? Nel giorno in cui Uber lancia il suo servizio di condivisione delle auto UberPop anche a Torino, attirando, come già avvenuto in altre città, le proteste dei taxisti, uno studio dell’Istituto Bruno Leoni prova a rispondere ai due quesiti che chiamano in causa soprattutto la politica. L’arrivo anche in Italia della società di San Francisco, che consente di prenotare un’auto con conducente, a noleggio, tramite un’app sullo smartphone o, nella sua versione pop, di «condividere» un passaggio pagando una sorta di rimborso al guidatore (non un autista, ma un privato cittadino), il tutto tramite carta di credito, sta mettendo in discussione le regole del servizio taxi in Italia, ferme – nonostante alcune modifiche e diversi tentativi di liberalizzazione, sinora falliti – a oltre vent’anni fa.
In base alla legge quadro 21 del 1992, spiega il focus redatto da Paolo Belardinelli, le licenze per l’esercizio del servizio taxi vengono rilasciate dai Comuni attraverso un bando di concorso pubblico. L’offerta, in altri termini, è regolata dalla Pubblica amministrazione, che decide quante licenze accordare e in che modo. Questo, evidenzia l’Ibl, (in allegato a questo articolo il file Pdf integrale n.d.r.) nonostante sia la Cassazione penale nel 2008 sia il Tar della Toscana nel 2011, abbiano stabilito la natura non pubblica del servizio taxi. «Se adottassimo la prospettiva del taxista – sostiene lo studio – sarebbe molto facile trovare validi motivi a favore di un intervento di restrizione dell’offerta di questo tipo». Mettendosi però nei panni del consumatore, di solito parte lesa nelle restrizioni alla concorrenza, come più volte segnalato anche dall’Antitrust, le cose cambiano. Quali ragioni, allora, spingono il legislatore a pianificare il numero delle licenze?
«La prima – secondo l’analisi – deriva dal fatto di credere che si conosca perfettamente la quantità dei servizi domandati e perciò sia possibile e legittimo pianificare l’offerta. L’esperienza – rileva tuttavia il testo – dimostra che non è affatto scontato che il Comune disponga di più informazioni rispetto a quelle di cui dispongono tutti gli agenti messi assieme. Un sistema di libera domanda e di libera offerta, attraverso il meccanismo dei prezzi – dunque – sarebbe più consono a individuare le esigenze della comunità».
La seconda ragione, invece, riguarda la sicurezza e i minori rischi per i fruitori del servizio taxi, che in assenza del meccanismo delle licenze non sarebbero garantiti. Assegnando le licenze, i Comuni diventano così i garanti dell’affidabilità sia dell’autista sia della vettura, assicurando ai cittadini uno spostamento tranquillo. Al di là del merito della motivazione, si chiede però l’Istituto Leoni, i Comuni stanno assolvendo in modo adeguato questo ruolo? Assumendo che nella fase iniziale il controllo sui requisiti possa essere efficace, cosa succede dopo?
Gli esempi vengono da Roma e Milano. Se entrambi i Comuni prevedono l’istituzione di uffici volti al controllo delle autovetture da piazza, a Milano, secondo l’Istituto, sembra mancare lo specifico regolamento, mentre a Roma non ci sarebbe traccia né dell’ufficio né la deliberazione volta a costituirlo. «Il contingentamento del numero delle licenze – conclude lo studio – nulla rileva in merito alla verifica dei requisiti soggettivi e oggettivi per il conferimento e mantenimento della licenza dei taxi». Se questo è l’unico scopo, sarebbe sufficiente una semplice autorizzazione, al pari di quanto già avviene per il noleggio con conducente.
Fonte: il Giornale