Settant’anni fa un giovane partigiano, Gustavo Trombetti, riunì sotto la propria ala diversi antifascisti per
preparare insieme pasti da distribuire in maniera cooperativa. Fu l’inizio di Camst e di una nuova era della
ristorazione. Cosa è cambiato oggi? Molti trentenni e quarantenni mettono a disposizione le proprie case per
farne degli home restaurant, si spostano da una città all’altra usando il car sharing di BlaBlaCar, si fanno dare
un passaggio in auto dai cittadini che aderiscono a Uber e dormono negli alloggi privati targati Airbnb.
Tradotto: cavalcano il boom della sharing economy. I cui germi, però, affondano in una tradizione cooperativa
che l’Emilia ha nel suo Dna sin dal Dopoguerra. Germi che hanno innescato una strana alleanza tra Uber e
Legacoop. Se l’arrivo dell’app da 40 miliardi di dollari (tanto vale Uber nel mondo) ha scatenato in diverse
città l’ira delle auto bianche che hanno gridato alla concorrenza sleale, a Bologna l’ascia di guerra è pronta
per essere sotterrata. Legacoop, che comprende anche i tassisti di Cotabo, domenica sarà allo stesso tavolo
della country manager di Uber Italia, Benedetta Arese Lucini, da mesi nel mirino dei tassisti milanesi, e di
Matteo Stifanelli di Airbnb. Succede a Palazzo Re Enzo, nell’ambito del Festival della comunità del
cambiamento, organizzato da Rena domani e dopodomani per far incontrare innovatori e organizzazioni.
L’obiettivo è gettare le fondamenta di una cooperazione «smart». La squadra giovane di Simone Gamberini,
nominato direttore di Legacoop Bologna a gennaio, è pronta a virare la nave cooperativa fuori dalle rotte
classiche.
L’obiettivo è «confrontarsi – spiega Gamberini – con nuovi modelli economici emergenti. Valutiamo
estremamente interessanti alcuni esempi di sharing economy, soprattutto quelli in grado di intercettare e
soddisfare nuovi bisogni». È prematuro parlare di progetti comuni, ma via al dialogo con le società che
sviluppano modelli di collaborazione 2.0. E che lo fanno con punti di contatto con le coop ma anche con
profonde differenze, soprattutto rispetto alla governance: nel mondo delle piattaforme simili a Uber, lo sharing
non riguarda gli utili come invece avviene nella cooperazione. «Il concetto di sharing come condivisione –
insiste il numero uno di Legacoop Bologna – è presente da sempre nel nostro modello: le cooperative non
hanno un proprietario, la ricchezza è prodotta dai soci e va ai soci o resta in cooperativa, a disposizione delle
generazioni future e della comunità in quanto ricchezza indivisibile…se non è condivisione questa!».
Se ad arricchirsi è uno solo, o un ristretto gruppo di persone, però, sembra non esserci spazio per la cooperazione.
Eppure molti esperti ritengono che la sharing economy possa essere una rampa di rilancio per il movimento
cooperativo, il più adatto ad incorporare i processi collaborativi comuni con questo nuovo modello economico.
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Ultima modifica: 12 Giugno 2015