Deve esser chiaro fin da subito che il Consiglio di Stato con la sua sentenza 3501 del 4 giugno 2020, contribuisce a sferrare un altro duro colpo all’economia produttiva nazionale e al suo sistema imprenditoriale. Essa, infatti, se non vi viene posto rimedio, contribuirà a distruggere quel sistema cooperativistico che finanche in questi mesi di crisi pandemica ha garantito l’erogazione di un sicuro servizio di trasporto pubblico, la presenza di un’infrastruttura sia audio-telefonica (preferita ancora da circa il 90% della cittadinanza, e non facilmente sostituibile sopratutto dall’utenza debole tout court e da quella più anziana), sia sms, sia tramite applicativo (app o application, oramai nel gergo comune) per smartphone, e la continuità retributiva del personale dipendente di centrale radio (a cospetto dei facili licenziamenti praticati in pari periodo dalle multinazionali straniere operanti nel settore, nonostante pratiche di favore e dunque di palese concorrenza sleale seppur nel silenzio di chi è chiamato a fare rispettare le leggi).
Tale danno deriva purtroppo dalla manifesta contraddittorietà della sentenza richiamata, fin dal suo primo punto di accoglimento dell’impugnativa dell’Antitrust e della multinazionale tedesca Mytaxi (oggi Freenow, e frutto del connubio tra i due colossi automobilistici Mercedes e Bmw).
Il fatto da cui parte tutta la vicenda giuridica approdata in appello, è un’istruttoria dell’Antitrust che si fonda su un presupposto economico assolutamente erroneo, frutto d’incompetenza, in merito alla clausola di non concorrenza prevista dal Codice Civile, così come adottata dagli statuti delle società radiotaxi. L’Antitrust rileva l’ “assenza di giustificazioni economiche legittimanti l’apposizione di siffatte clausole, non essendo a tale fine sufficiente il richiamo agli artt. 2527 c.c e 1567 c.c.”. Tutta l’incompetenza della stessa, fatta propria purtroppo dalla sezione sesta del Consiglio di Stato, sta qui! Essa infatti non considera che è proprio grazie a questa clausola, se è potuta storicamente nascere una concorrenza nel settore. Infatti, alla nascita del primo radiotaxi nelle varie città, seguì la spontanea organizzazione da parte dei tassisti di nuovi radiotaxi concorrenti con quello pioniere. Questi, se non avessero protetto la nascente compagine e infrastruttura tecnologica, con la clausola di non concorrenza, non avrebbero mai potuto contare su una affidabile flotta taxi idonea a fidelizzare progressivamente una propria clientela, in quanto sarebbero stati orientati nella fase di start up a sfruttare l’avviamento del radiotaxi pioniere: ciò avrebbe reso impossibile lo strutturarsi della nuova realtà concorrente. Dunque, dove sta il problema di una realtà come Mytaxi? Nella suo stesso modello di business: esser formato da capitale e non da tassisti lavoratori; non prevedere la adesso demonizzata civilistica clausola di non concorrenza; nel pretendere immediatamente quella crescita esponenziale a cui mira appunto il capitale, piuttosto di una paziente progressiva crescita, tipica invece della saggezza dei lavoratori. In breve, siamo al ribaltamento arrogante e imprudente di un mondo.
Premesso tutto ciò, il Consiglio di Stato, asseconda questa malata visione del mondo e, in merito alla clausola di non concorrenza propria degli statuti delle cooperative radiotaxi, pone il seguente incipit, rifacendosi alla giurisprudenza europea:
“Un accordo, invece, è qualificabile come intesa restrittiva per effetto, ove abbia di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile, il gioco della concorrenza: al riguardo, occorre valutare quale sarebbe stato il gioco della concorrenza nel contesto economico e giuridico di riferimento, se l’accordo non fosse stato concluso, in particolare, verificando la relativa incidenza sui parametri di concorrenza, quali il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti o dei servizi (Corte di Giustizia U.E., 30 gennaio 2020, in causa C-307/18, Generics (UK) Ltd, punti 117 e 118).”
Proprio alla luce di ciò, il CdS, se avesse indagato meglio il settore, sarebbe arrivato alla immediata conclusione che la clausola non arrechi alcun danno concorrenziale sia dal lato del prezzo – in quanto settore a tariffa amministrata, non suscettibile di variazioni di prezzo verso l’alto! -, sia sul lato della quantità – in quanto settore a numero contingentato degli operatori! -, sia sul lato della qualità – anzi, la garanzia, per un radiotaxi, di poter contare su un certo numero di operatori, è ciò che ne consente la sopravvivenza, e dunque gli investimenti in infrastrutture tecnologiche, nonché nei tanti servizi prodotti dai vari radiotaxi italiani, a titolo gratuito, in favore dell’utenza (prenotazione di chiamata, sviluppo di applicativi tecnologici per chiamate e pagamenti, servizio premaman, strumenti per la sicurezza dei bambini, servizio disabili, applicativi per sordi, investimenti in auto ecosostenibili, centrali radio a basso o nullo impatto ambientale, massima tutela dei lavoratori dipendenti di centrale radio sul fronte dei diritti sul lavoro, ecc.).
Secondo il CdS, invece, sarebbe “evidente” la restrizione concorrenziale prodotta dalle clausole di esclusiva. Esso precisa infatti: “Tanto emerge, altresì, dal punto 135 degli orientamenti della Commissione europea sulle restrizioni verticali (2010/C 130/01), in cui si ritiene improbabile un effetto anticoncorrenziale individuale o cumulativo ove la quota di mercato dell’operatore maggiore non superi il 30% e la quota di mercato dei cinque maggiori fornitori non superi il 50%; nella specie, invece, si è in presenza di una quota di mercato complessivamente vincolata superiore all’85%, detenuta da soli tre operatori, il primo dei quali detiene una quota superiore al 30%; il che rende evidente la restrizione concorrenziale prodotta dalle clausole di esclusiva.” Eppure, in mercati come quello delle telecomunicazioni o audiovisivi, le concentrazioni di mercato risultano ben più marcate, pur in assenza di clausole di non concorrenza. Così, nella banda larga: Tim 43%, Vodafone 16%, Fastweb 15%, Wind Tre 14%; nell’audiovisivo: Rai 34%, Mediaset 31%, Discovery 8%, Sky 8%, La7 4%.
L’interpretazione del CdS, poi, nel momento in cui reputa anti-concorrenziale nel caso dei radiotaxi, l’applicazione di un canone del sistema societario, come quello dell’art. 1567 c.c., nonostante preveda, come riconosciuto dallo stesso, la possibilità di recesso per il tassista in qualsiasi momento, risulta da un lato pretestuosa, dall’altro formalistica e fuori dallo spirito costituzionale. Pretestuosa, nel momento in cui considera come non effettiva questa possibilità di recesso solo perché il tassista non potrebbe rinunciare all’economia di rete strutturata dal suo radiotaxi – e chi lo ha detto? La stessa Antitrust riconosce che nell’ultimo triennio il 4040 abbia perso 50-100 tassisti, l’8585 ne abbia persi 1-50 ed il 6969 ne abbia guadagnati 100-150 -, dall’altro, formalistica e fuori dallo spirito del Costituente, perché non considera che il venir meno di quella clausola propria dell’ordinamento nazionale – e non del solo settore taxi! -, apre le porte al predominio della sola forza del capitale, a totale detrimento di quel lavoro citato fin dall’art. 1 Cost.! Ed immaginate di chi sia questa forza, se da un lato hai associazioni di lavoratori artigiani e dall’altro Mercedes e Bmw, o una multinazionale quotata sulla borsa americana come Uber?
Secondo il CdS, l’anticoncorrenzialità dei radiotaxi si avrebbe nonostante Mytaxi abbia conquistato nel giro di meno di un triennio quasi il 20% dei tassisti milanesi (con un aumento del 6000% delle chiamate), quando il più grande radiotaxi milanese ne affilia sì circa il 35%, ma dopo mezzo secolo di operatività (!). Emerge chiaramente in più passaggi della sentenza, che secondo esso, il problema starebbe nel fatto che Mytaxi avrebbe tante corse inevase, e dunque necessiterebbe di più tassisti. Il formalismo che ispira il CdS, non tiene conto che questo eccesso di domanda derivi, da un lato, dalle politiche di scontistica del 50% che solo un colosso finanziario come quello può permettersi, e che è funzionale alla progressiva monopolizzazione del settore, e dall’altro dalla sua diffusione nel mercato europeo (questa sì probabilmente, già esprimente una posizione dominante in tutto il contesto comunitario in cui la multinazionale opera). E questo formalismo assume toni grotteschi nel momento in cui il CdS plaude all’attività dell’Antitrust, asserendo che essa abbia esaminato “il gioco della concorrenza nel contesto effettivo”, quando invece essa ha rilevato benefici inesistenti come il: “ridurre costi di adesione alle piattaforme di intermediazione e gli investimenti in hardware e attrezzature, per effetto della concorrenza tra gli intermediari”, quando invece, proprio per la sua strapotenza finanziaria e la conseguente naturale tendenza alla monopolizzazione, Mytaxi ha alzato i profili commissionali in più sedi europee, e il “ridurre i tempi di attesa da parte dei clienti, con conseguente riduzione del prezzo della corsa, venendo attivato il tassametro, di regola, nel momento in cui il tassista accetta la corsa e inizia a dirigersi verso il luogo di prelevamento”, dando per scontato, non si sa su quale base, che il taxi più vicino al cliente sia quello affiliato alla multinazionale.
Ma la mancanza di una valutazione effettiva del CdS, persiste quando fa riferimento all’istruttoria dell’Antitrust che, ammesso e non concesso che ogni tassista debba esprimere il suo massimo potenziale lavorativo a prescindere, riprende i dati dello studio Kpmg, valutando erroneamente che il suo dato di 3150 corse annuali come massima capacità esprimibile da un taxi (a fronte di quello dichiarato dai radiotaxi milanesi di 2160 corse assegnate tramite radiotaxi), sia totalmente imputabile a corse acquisite via radio e non anche “a piedi”. Ma l’errore consiste anche nel considerare quel tempo di attesa in cui si trova fisiologicamente un taxi, come del tempo “buttato”, invece che una sorta di abbassamento dei giri del motore, per usare una metafora, idonea a consentire una adeguata gestione della domanda di servizio, che altrimenti diverrebbe insostenibile.
E che al CdS questo passaggio sfugga è reso chiaro quando dice: “La trasformazione delle clausole di esclusiva assoluta in esclusiva relativa, come imposto con il provvedimento impugnato in primo grado, dunque, consentirebbe ai tassisti vincolati di acquistare i servizi di intermediazione da piattaforme di intermediazione in concorrenza con quella di appartenenza, limitatamente alla quota di capacità produttiva individuale non necessaria al radiotaxi di adesione.” Su che basi può essere detto ciò? Com’è escludibile a monte che il tassista impegnato per un soggetto concorrente, non possa poi servire in quella stessa unità di tempo per un subentrante servizio richiesto dall’utenza fidelizzata dal proprio radiotaxi?
Infine il CdS fa altresì proprio questo passaggio dell’istruttoria dell’Antitrust, che in un’economia dominata, senza condizioni di reciprocità, da capitali stranieri, è talmente paradossale nel suo vittimismo, da smascherare un intento strumentale: “L’ostacolo alla concorrenza prodotto in danno di un operatore riconducibile ad un gruppo tedesco (parr. 3 e 286 provvedimento), dimostra, altresì, la sussistenza di un attuale pregiudizio al commercio intracomunitario, minando la realizzazione del mercato comune, come correttamente rilevato al par. 268 del provvedimento antitrust.”
Alla luce di questa infelice sentenza, composta di 93 pagine – dove i medesimi concetti vengono ripetuti più e più volte, quasi a voler dissuadere dalla lettura della stessa ed a suggerire di accontentarsi di un semplice comunicato stampa – che dopo il meteorite del Covid-19 piovuto addosso a tutti noi, rischia di non farci neanche rialzare in piedi, riteniamo necessario procedere per step con: 1) la presenza di una foltissima delegazione di tassisti italiani, il giorno della prossima udienza del Consiglio di Stato sul pari caso dei radiotaxi romani, di fronte al luogo di pronunciamento; 2) tentare ogni strada giuridica, ove esistente, per una modifica di questo giudizio; nell’inutilità di tutto ciò: a) procedere con una modifica strutturale delle compagnie radiotaxi; b) l’indisponibilità assoluta dei tassisti italiani a collaborare con queste multinazionali, pena altrimenti la progressiva e celere distruzione dei nostri radiotaxi, sostituiti da queste multinazionali, col conseguente progressivo aggravio dei costi d’esercizio (come già comprovato dai celeri aumenti delle commissioni praticate da Mytaxi, oggi Freenow).
Ufficio Studi Uritaxi
La sentenza del Consiglio di Stato distruggerà il sistema cooperativistico e favorirà le multinazionali, ma non l’utenza!Ultima modifica: 8 Giugno 2020