La prima cosa che l’A.R.T. dovrebbe “monitorare”, e che non ha mai fatto, sono le opinioni dei professionisti del settore.
Ci sembra infatti che essa, ogni volta, avanzi pretestuose e contraddittorie proposte, funzionali soltanto alle multinazionali. Da un lato, infatti, l’ART vorrebbe che le cooperative taxi, ossia strutture economiche private costruite con i risparmi sottratti dai lavoratori del settore alle proprie famiglie, condividessero dati economicamente sensibili; dall’altro però, ne vorrebbe minare la capacità di tenuta, eliminando (per il solo settore taxi) quella clausola di non concorrenza prevista dal Codice Civile per ogni settore economico. Tale proposta incentiverebbe i tassisti meno lungimiranti a lavorare con le multinazionali straniere che si trattengono fino al 28% dei ricavi lordi del lavoratore. A questo riguardo, l’ART deve sapere che senza la clausola di non concorrenza, oggi, in ogni città italiana non esisterebbe più di un solo radiotaxi. Infatti, proprio la certezza di poter contare su un dato lavoratore ha consentito la nascita di più cooperative nelle principali città! L’eliminazione di quella clausola, diversamente, consentirebbe solo a chi ha forza finanziaria ultra-merito (ossia i mega contenitori finanziari che hanno deciso di buttarsi nel business della mobilità), di legare a sè in modo strutturale i tassisti. Questo, grazie a super-scontistiche nel breve periodo, che però sarebbero funzionali a monopolizzare il settore nel medio-lungo periodo, dopo aver sbaragliato la concorrenza. Ma l’ART, se ha contezza del sistema costituzionale all’interno del quale è chiamata ad operare, dovrebbe “promuovere e favorire l’incremento” delle cooperative italiane, come previsto dall’art. 45, 1° co. della Costituzione.
Dunque, se l’ART tiene veramente a migliorare il servizio taxi italiano, consulti gli operatori del settore e scoprirà che: 1) quasi tutti i taxi italiani sono raggiungibili attraverso tre/quattro principali app dei tassisti, esistenti oramai da un decennio; 2) che la moda delle app è appunto ancora soltanto un vezzo funzionale agli interessi di due multinazionali straniere, perché almeno il 90% dell’utenza, e soprattutto quella debole, predilige ancora la chiamata telefonica o l’uso della messaggistica che solo i radiotaxi assicurano; 3) che il vero modo per far risparmiare l’utenza taxi, è raccomandare ai comuni di aumentare, invece che ridurre, la percentuale di corsie preferenziali: abbassandosi infatti i tempi di percorrenza, oltre al risparmio economico per il cliente, aumenta la reperibilità delle vetture e si riduce l’inquinamento; 4) il problema della sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori del settore è snobbato dal regolatore pubblico: giace da tempo al Senato un d.d.l. per tutelarli dalle aggressioni; 5) circa i sistemi di pagamento elettronici, è ingiusto che su una tariffa amministrata, un pezzo dei ricavi da lavoro finisca nelle tasche di banche e finanza: andrebbe previsto un sistema di decommissionamento (come già avviene per i distributori di benzina) che ne incentiverebbe anche l’uso; 6) è ingiusto che un servizio pubblico di piazza debba pagare gabelle varie (c.o.s.a.p.) a enti locali o gestori privati di monopoli naturali (come aeroporti e porti), per sostare in attesa della clientela che è tenuto per legge a dover servire; 7) le scontistiche in favore dell’utenza debole (anziani, donna sola, disabili) dovrebbero gravare sulla contribuzione generale e non sugli operatori del settore; 8) il radiotaxi è un’infrastruttura di pubblico interesse operativa 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, a supporto del servizio pubblico taxi: dovrebbe beneficiare di un sostegno pubblico; 9) l’usura psico-fisica dell’attività di tassista è nota da tempo, ma il settore tarda ad esser incluso tra le attività usuranti; 10) seppur dentro l’era del “Green New Deal”, non è stato ancora previsto per il trasporto pubblico non di linea, un determinante sistema di eco-contributi per l’acquisto di auto elettriche, sulla falsariga del 110% previsto per gli ammodernamenti edilizi.
Esistono già ricerche di mercato indipendenti sulla soddisfazione della clientela dei taxi, che già in era pre-Covid davano risultati eccellenti, tra l’80 ed il 90% di gradimento, nelle varie città italiane. Oggi, con mole di lavoro purtroppo dimezzata, questi risultati sarebbero ancor più eccellenti. L’ART, con un budget davvero risibile per un ente pubblico, potrebbe commissionare un’indagine similare sulle principali città italiane e scoprirebbe che il servizio taxi italiano è uno dei pochi servizi pubblici che oggi funziona.
Claudio Giudici
Presidente nazionale Uritaxi