Massimo Calì, tassista di 42 anni, picchiato selvaggiamente e poi anche indagato per violenza sessuale, ha vissuto ieri la fine di un incubo assurdo vittima inconsapevole di una incredibile bugia raccontata a un fidanzato geloso.
Colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: quando cioè Brigida Marino, 31 anni, lo aveva indicato come il suo violentatore. Lei diceva di averlo riconosciuto perché fumava il sigaro e più volte, davanti alla polizia e anche davanti al magistrato, lo aveva identificato senza alcuna ombra di dubbio.
Lui, invece, quella ragazza non l’aveva mai incontrata. E non solo si è scoperto che non era lui il suo aggressore, ma anche che nessun aggressore era mai esistito davvero. Era soltanto un parto della fantasia di lei che, combattuta nella scelta tra due uomini, aveva sperato in quel modo di guadagnare un po’ di tempo. Per la bugia e per le drammatiche conseguenze che ha scatenato, la donna, che fa la maestra elementare a Oulx, è stata condannata ieri col rito abbreviato a due anni per calunnia e al pagamento di un risarcimento e di un acconto di novemila euro.
Il suo avvocato è Marco Marchio, quello di Calì è Michele Polleri. L’episodio risale all’8 gennaio del 2012: il tassista è in attesa di un cliente a Caselle. Mentre lui non si accorge di nulla, Brigida Marino lo indica al fidanzato e al fratello come l’uomo che l’ha stuprata lungo il tragitto dall’aeroporto alla stazione di Porta Nuova dopo averla caricata sul taxi. I due uomini programmano allora la spedizione punitiva: lo pedinano, lo “ingaggiano” come clienti, si fanno portare nella zona industriale di Leinì e lì lo picchiano con una spranga fino a lasciarlo svenuto a terra.
Massimo Calì per due anni si chiederà quale fosse la ragione di quell’aggressione brutale, visto che nessuno gli ha portato via un centesimo né ha fatto cenno al motivo di tanta rabbia. Per mesi smetterà persino di lavorare temendo che qualcuno possa tornare a cercarlo ancora. Solo quando si vedrà notificare la data dell’udienza preliminare del processo contro i suoi picchiatori e la sua accusatrice dipanerà passo a passo tutta la storia.
E scoprirà di essere stato, oltreché aggredito, anche indagato per un anno per il reato di violenza sessuale, scagionato infine dalla confessione della sua accusatrice. «Penso – aveva fatto mettere la donna a verbale davanti al pm Livia Locci che la interrogava – che sia l’unico modo di impedire a quell’uomo di fare del male ad altre donne». Lei aveva raccontato di essere salita sul suo taxi all’aeroporto, di ritorno da un viaggio in Calabria dai parenti,e di essersi fatta portare alla stazione per prendere il treno verso Oulx. Ma dai tabulati telefonici erano emersi elementi discordanti: le celle avevano agganciato il suo cellulare lungo il tragitto del bus Sadem e per di più era chiaro che lei per tutto il viaggio aveva parlato al telefono con un uomo.
Dopo dieci mesi di indagine, di fronte all’evidenza, la donna ha confessato: era sotto stress perché non riusciva a decidersi tra i due pretendenti e, per prendere tempo con il fidanzato di Oulx, aveva detto di aver bisogno di stare in pace perché l’avevano violentata. Travolta come da una valanga dalla gravità delle sue stesse accuse, ha dovuto continuare a mentire per non essere smascherata.
Fonte: Repubblica
Ultima modifica: 17 Giugno 2014