Ai Gruppi Parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Capigruppo presso le Commissioni del Senato
Oggetto: Atto del Senato n. 2469 – DdL Concorrenza
Le sottoscritte Associazioni sindacali, in rappresentanza del trasporto pubblico non di linea esercitato mediante servizio Taxi,
CHIEDONO
1) lo stralcio dell!art. 8 contenuto nel ddl Concorrenza la cui discussione verrà avviata a breve;
2) la contestuale ripresa dell’iter per l’approvazione da parte di Governo e Ministeri competenti di quanto previsto dalla Legge 12/2019:
a) approvazione di uno specifico D.p.c.m. di disciplina delle piattaforme di intermediazione tecnologica,
b) decreto ministeriale istitutivo del Registro Elettronico Nazionale dei taxi e dei n.c.c.,
c) decreto ministeriale istitutivo del foglio di servizio elettronico per le vetture di noleggio da rimessa,
al fine di concludere gli annunciati: riordino disciplinato del trasporto pubblico non di linea e contrasto ai diffusi fenomeni di abusivismo.
Le motivazioni che ci spingono a chiedere tutto ciò con forza, sono numerose, fondate e argomentate. Oltretutto, dobbiamo segnalare che la formulazione proposta dal Governo lascia presagire l’interesse a regalare la gestione del settore a intermediari che pensano di arricchirsi alle spalle dei lavoratori, relegando la funzione del tassista a quella di un rider della mobilità, senza diritti ma con rischi di impresa a carico.
Infatti, sia da un punto di vista economico che giuridico, non si comprende la necessità di destrutturare il modello italiano del trasporto pubblico non di linea.
Dal punto di vista economico, esso si presenta come uno dei pochi servizi pubblici con un alto grado di efficienza e dunque di soddisfazione tra la clientela (tra l’80 e il 90% a seconda delle città sottoposte ad indipendenti indagini demoscopiche), e che non comporta costi per le finanze pubbliche, ma anzi, sia un alleggerimento di spesa, che costanti entrate fiscali. Circa quest’ultimo aspetto, l’esistente avanzata infrastruttura tecnologica creata, in mezzo secolo, in via sussidiaria grazie agli sforzi economici dei tassisti italiani, ha un rilevante interesse pubblico per la cittadinanza. Sull’economia dei tassisti, fra l’altro, grava tutta una serie di scontistiche a favore dell’utenza debole, prima rimessa alla contribuzione generale, e che costituisce una vera e propria tassazione diretta sul lavoro. Altresì, a parte la fiscalità ordinaria derivante dall’attività dei circa 50.000 operatori taxi e dei circa 20.000 operatori n.c.c., anche la trasferibilità delle licenze, comporta costanti entrate fiscali.
I tassisti italiani poi, ogni anno, investono nella sola infrastruttura tecnologica “di chiamata” (telefonia, messaggistica, moderne app, trasporto sociale, diffusione e promozione dell’offerta, formazione, installazione tecnica, gestione amministrativa, ecc.), prevalentemente organizzata in cooperative radiotaxi, circa 160milioni di euro che offrono occupazione diretta a circa 2500 collaboratori subordinati altamente specializzati.
Tutto questo, nonostante il settore sia oramai da quasi un decennio aggredito dalla mera logica del profitto del modello delle multinazionali, e verso cui l’art. 8 del ddl concorrenza ancor più radicalmente dirige.
I benefici funzionali, economici, sociali, occupazionali, fiscali, garantiti dall’odierno modello italiano del trasporto pubblico non di linea, verrebbero meno col modello “delle multinazionali” proposto dall’art. 8.
Dal punto di vista giuridico, l’attuale modello, ed in particolare il servizio taxi, si fonda sulle due figure, costituzionalmente tutelate, dell’imprenditore artigiano (art. 45, 2° co. Cost.) e della cooperazione (art. 45, 1° co. Cost.).
L’aspirazione costituzionale alla tutela e promozione di queste due figure centrate sul lavoro specializzato e sulla solidale mutualità, è però tradita dall’art. 8 del ddl concorrenza, ma anche dal mancato completamento della riforma, attraverso i decreti attuativi, richiesti dalla l. 12/19, in assenza dei quali l’abusivismo continua a far da padrone a danno degli operatori rispettosi delle norme di settore.
Sempre dal punto di vista giuridico, segnaliamo che:
a) secondo la disciplina Europea (2006/123/CE) recepita in Italia con il D.Lgs. n. 59/2010, il servizio taxi è escluso dai principi di libero mercato e non rientra tra i servizi per i quali si prevedono liberalizzazioni, affermando che la tipologia di “servizio essenziale è d’interesse pubblico” quindi non può esser soggetto ai principi della concorrenza(i).
b) L’approccio dell’art.8 del ddl concorrenza inoltre va in conflitto con una serie di pronunciamenti giuridici rilevanti sia in ambito europeo che nazionale; citiamo come esempi:
• Sentenza Consiglio di Stato n. 166/2014
•Sentenza Corte di Giustizia Europea 13.2.2014 – CAUSE RIUNITE C-162/12 e C-163/12 rafforza il concetto di non applicabilità della direttiva Bolkestein(ii)
•Sentenza Corte di Giustizia Europea del 20.12.2017 – CAUSA C-434/15(iii)
c) Le ipotesi contenute all!art. 8 del ddl concorrenza presentano altresì un conflitto di competenze con le Regioni; il trasporto pubblico locale infatti rientra nell!ambito delle competenze residuali delle Regioni, di cui al quarto comma dell’art.117, Titolo V della Costituzione, come confermato anche dalla sentenza n. 222/2005 della Corte Costituzionale.
Altresì, la formulazione contenuta nell’art.8 del ddl concorrenza porterebbe a diversi risultati in contrasto con gli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dell’agenda 2030 in sede ONU,
come:
1. Indebita posizione di vantaggio per le piattaforme di intermediazione a svantaggio degli operatori di trasporto;
2. favorire una iniziativa privata di interesse esclusivamente capitalistico senza responsabilità sociale, che in assenza di competitor deterrà posizione dominante;
3. precarizzazione dell’attività di trasporto attraverso una intermediazione forzata del lavoro senza regole;
4. penalizzazione, anziché promozione dello sviluppo della cooperazione e dell’artigianato come previsto in Costituzione, ponendo le basi per la scomparsa di tali istituti nel settore;
5. creazione di conflitti di competenze tra istituzioni: Regioni, Autorità e Governo;
6. esautorazione del potere legislativo del Parlamento, relegando all!Autorità dei Trasporti, ente di controllo, funzioni regolatorie e politiche;
7. relegazione del servizio pubblico non di linea a mera attività commerciale non essenziale;
8. perdita della possibilità delle Amministrazioni comunali di definire le tariffe a salvaguardia dell’interesse pubblico;
9. dequalificazione del servizio, frammentazione e perdita del patrimonio creato in decenni di attività;
10. riduzione in povertà assoluta per circa 50.000 addetti tra titolari, sostituti, collaboratori, seconde guide che si troveranno defraudati degli investimenti fatti.
Il conflitto tra il vecchio che difende i suoi privilegi e il nuovo che avanza verso un futuro radioso è una rappresentazione mistificante. Troppe volte sfugge ai media ed alla politica, che il trasporto pubblico non di linea non funziona secondo le logiche di mercato, ma è un settore amministrato.
Se così non fosse, i tassisti potrebbero rifiutare l’utente poiché persona non gradita, o il tragitto poco remunerativo, o il lavoro in una fascia oraria oggettivamente scomodo e poco redditizio, facendo venire meno quelli che sono i vincoli propri del servizio pubblico, posti a garanzia del diritto costituzionale alla mobilità del cittadino.
Il prezzo delle corse, infine, muterebbe in funzione della richiesta, con tariffe che salirebbero inevitabilmente nei momenti di domanda particolarmente elevata.
Problemi potrebbero anche sorgere sulle caratteristiche e la sicurezza dei veicoli, sulle capacità degli autisti che oggi hanno raggiunto generalmente alti livelli di professionalità e sull’adeguatezza delle coperture assicurative. Proprio perché ci troviamo al di fuori delle logiche di libero mercato, con tutti i vincoli che ne derivano, le autorità amministrative contingentano l’accesso alla professione di tassista: è una misura indispensabile a bilanciare le diseconomie sopra dette, imposte dallo svolgimento di questo servizio pubblico. Quindi il sistema di rilascio delle licenze è soggetto ad una programmazione e gli ampliamenti di organico vengono stabiliti dagli enti locali, sulla base della valutazione d’insieme del servizio: contemperando l’universalità del diritto di mobilità degli utenti, con la necessità del mantenimento della sostenibilità economica dell’attività degli operatori. Il tutto, attraverso una possibilità di accesso professionale al settore tramite concorso pubblico o per trasferimento.
Il rapporto tra privati che a fronte di una titolarità di licenza, si impegnano a fornire un servizio pubblico con regole precise e le amministrazioni locali, è palesemente un contratto tra le parti, dove, da un lato c’è come detto l’assunzione di un incarico e responsabilità che ne derivano, con limiti operativi (obbligo di prestazione di servizio, turni, tariffa amministrata, regolamenti) e dall’altro, l’impegno a rendere fruibile il servizio all’utenza, garantendo la sopravvivenza economica dello stesso.
Il legislatore inoltre, con il D.L. Bersani nel 2006, introducendo la facoltà da parte dei Comuni di emettere nuove licenze con bandi a titolo oneroso, ha posto volutamente l’accento su questo onere, rendendolo anche un impegno economico, con una responsabilità diretta da parte dei Comuni.
Oggi, il nostro Parlamento, quale primo simbolo della democrazia rappresentativa, è chiamato a decidere se vuole tutelare un modello altamente efficiente che tiene uniti lavoro e capitale – così come nell’ideale costituzionale – attraverso le figure dell’artigianato e della cooperazione, in favore della distribuzione della ricchezza, oppure tradire tutto ciò, riproponendo il modello ottocentesco della concentrazione finanziaria così ben riproposto dalle multinazionali della predazione, dello sfruttamento del lavoro, dell’elusione fiscale.
i – Direttiva Bolkestein, punto (21): I servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi e le ambulanze nonché i servizi portuali, sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva.
ii – Come risulta dal suo articolo 2, paragrafo 2, lettera d), la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376, pag. 36), non si applica ai servizi nel settore dei trasporti che rientrano nell’ ambito di applicazione del titolo VI della terza parte del Trattato FUE.
iii – La Corte riunita nella seduta di Grande Sezione ai sensi del considerato 21 della Direttiva 2006/123 «servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi e le ambulanze nonché i servizi portuali, sono esclusi dal campo di applicazione di tale direttiva» inquadrando la Società in oggetto in società d’intermediazione e non in società di interconnessione.