In risposta alla vostra intervista al dott. Giuricin, “Basta con il mercato delle licenze: occorre liberalizzare il settore dei taxi”
Già l’11 ottobre 2023 Il Sole 24 Ore, sempre con articolo a firma di Flavia Landolfi e Vittorio Nuti, aveva riportato in materia di licenze taxi una serie di errori. I più evidenti tra questi, quelli per cui il mercato delle licenze taxi sarebbe “un tema tutto italiano” e che “il mercato delle licenze non esiste fuori dall’Italia per il semplice fatto che i titoli restano sempre nella disponibilità della Pa”. Non è così, come avevamo avuto modo di replicare, visto che le licenze taxi sono compravendibili in tutta Europa e negli stessi Stati Uniti.
Adesso, sempre Landolfi e Nuti tornano sul tema con un’intervista al dott. Giuricin, che per trasparenza, va ricordato che sia un collaboratore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank noto per le posizioni liberiste – quelle contro cui nasce la nostra Costituzione per intendersi… – e già finito all’attenzione dell’inchiesta giornalistica internazionale “Uber files”, per i finanziamenti ricevuti dalla multinazionale americana.
Giuricin propone la “completa liberalizzazione” del mercato dei taxi, ma trattandosi del nostro Paese – che a suo dire non sarebbe pronto a questo passo (per fortuna!… secondo noi) – propone di aumentare il numero degli n.c.c. Circa la prima idea, ricordiamo che il mercato delle licenze non è liberalizzato in nessuna civile economia occidentale (con la sola eccezione dell’Inghilterra) per le esigenze di controllo dello spazio pubblico, nonché di sicurezza dell’utenza. Circa la seconda, ci pare una proposta tutt’altro che imparziale, visto che il mercato di Uber si regge proprio sulle auto nere, ma con un grave problema di leale concorrenza. Gli n.c.c., infatti, non avendo obblighi di prestazione e tariffa, come il servizio pubblico taxi, hanno l’obbligo di acquisire il servizio dalla rimessa nel comune che li ha autorizzati, e qui di stazionare (anche per l’acquisizione di servizi provenienti da strumenti tecnologici). Quando gli n.c.c. però operano su chiamata di qualche multinazionale, lo fanno prevalentemente (per non dire altro) in violazione delle normative, direttamente con stazionamento su strada. Fanno dunque i taxi. Questo perfeziona una forma di concorrenza sleale nei confronti dei taxi regolari, a causa delle diseconomiche regole su di loro gravanti, ma che però sono a tutela dell’utenza. Lo ripetiamo, queste sono: obbligo di prestazione e tariffa amministrata che obbligano il tassista a non poter valutare l’economicità di un servizio né tanto meno determinare il prezzo in funzione della domanda. Trattandosi di un mercato stagionale e a picchi di domanda – solo New York, rappresentando pressoché un unicum mondiale, vanta un mercato turistico sui massimi dodici mesi l’anno – il numero dei taxi è determinato sulle medie di domanda e non sui picchi di domanda. Quindi, per restare al mercato italiano, dove precise indagini demoscopiche come quella di Lab21.01 da Uritaxi commissionata nel febbraio scorso, fatta su sedici città italiane, ci dicono che l’88,3% degli intervistati dichiara di avere un taxi entro 6 minuti – pronti ovviamente ad essere smentiti da qualsiasi contro-indagine, se non bastasse quella di Emg-Adnkronos dell’ottobre scorso, che rileva un 71% di gradimento generale del servizio taxi -, sappiamo che nella stragrande maggioranza dei momenti l’utenza ha un taxi entro tempi invidiabili, mentre, strutturalmente e inevitabilmente, in momenti di picco di domanda, possono esserci attese più o meno lunghe. Per non avere mai attese si dovrebbe ricorrere allo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo, disponibile ad essere presente in eccesso anche nei momenti di bassa domanda. Non a caso, lo stesso Giuricin nella sua chiosa finale riconosce che “anche altrove in Europa la situazione è complessa per i cittadini”, e cita non a caso realtà come Malesia e Tanzania ritenendoli modelli virtuosi, dimenticando di dire però che esse hanno, rispettivamente, un reddito pro capite pari ad un terzo e ad un trentesimo di quello italiano (!). Ma i liberisti, lo si sa, hanno poca attenzione per il lavoro – lo considerano merce! – differentemente dalla nostra Costituzione che, invece, lo considera diritto e finanche fondamento della Repubblica (art. 1) con tanto di reddito che assicuri “un’esistenza libera e dignitosa” al lavoratore ed alla sua famiglia. Lo sappiamo, roba che non va di moda…
Claudio Giudici
Presidente nazionale Uritaxi
P.s.: il Sole 24 Ore non ha concesso a noi o a qualsiasi altro rappresentante del settore alcun diritto di replica o possibilità di contraddittorio.
Ultima modifica: 2 Gennaio 2024