Da mesi si svolge la polemica attorno alla multinazionale Uber, che offre un servizio di taxi “liberalizzato” a prezzi concorrenziali con quelli offerti dalle cooperative di tassisti muniti di licenza comunale. Come al solito gli “innovatori” fanno valere la ragione del prezzo più basso e della possibilità di accedere al mestiere chiunque, accusando i tassisti regolamentati di essere “casta”, di praticare prezzi spropositati, di proteggere lauti guadagni e infine, immancabile, di essere “corporazione” di stampo fascista.
E’ pacifico che il tassista con licenza sia a tutti gli effetti una PMI (ditta individuale con partita IVA, Inps, Inail, fisco, etc), che deve rispettare regolamenti, che deve avere un’auto a norma di legge anche nel colore, deve rispettare i turni e così via. E chiaramente tutti questi costi si riflettono sul prezzo del servizio per cui le associazioni di categoria contrattano con la controparte pubblica un prezzo “congruo” che assicuri la copertura dei costi e un reddito ragionevole al tassista, e di qui la taratura del tassametro o i prezzi imposti forfettariamente ad esempio da e per gli aereoporti.
Uber invece si presenta come la scatola magica: grazie alle nuove tecnologie e alla completa liberalizzazione del settore (potranno accedervi quelli che lo fanno come secondo lavoro, i precari che lo fanno temporaneamente, i disoccupati, gli immigrati etc) si ottiene un servizio a più basso costo per gli utenti e un aumento degli occupati in quanto il sistema viene regolato dal mercato (la famosa mano invisibile) E’ appunto la scatola magica propagandata ogni volta che si presenta una liberalizzazione, globalizzazione, etc.
“Una corsa media costa 7 euro, escluse le spese variabili alcuni di questi finiscono al guidatore. Diciamo che con UberPop si ammortizzano bene le spese dell’auto, che sono circa 7mila euro l’anno fra manutenzione, benzina, deprezzamento e tutto il resto. È insomma un ottimo modo per recuperare queste spese. I pagamenti vengono effettuati tramite bonifico bancario e tutto è tracciato e trasparente. Compreso il pagamento del cliente.”
Quindi si riconosce al tassista-Uber quanto basta per coprire i costi dell’automobile usata per fare il servizio. E’ come se un lustrascarpe lavorasse per pagare lucido e stracci, un contadino lavorasse per pagare falce e zappa, un operaio per pagare lima e bulino. E il resto? Il “reddito”?, il “profitto”? Che fine fanno?
Il resto è ovviamente rappresentato da tutti i costi a cui fa fronte il tassista con licenza (tasse, previdenza, etc) e il reddito è ovviamente quello necessario al tassista per campare, visto che lavora. Il profitto è quello che spetta al tassista come titolare di PMI (è ovvio, non ha la cassa integrazione, le ferie, la tredicesima…)
Uber cancella tutto. Esiste solo il rimborso dei costi per l’automobile e il profitto che finisce alla multinazionale Uber. Sparisce la previdenza, le tasse e tutto il resto. Praticamente torniamo al bracciantato agricolo di inizio ‘900: si lavora a chiamata e solo per mangiare quel giorno (in realtà per Uber si lavora per pagare l’automobile quel giorno, pure digiuno devi stare). Che modernizzazione! In questo modo Uber “abbassa i prezzi” con un preteso gran vantaggio per gli utenti e i tassisti-Uber, ma che in realtà ammazza le PMI e i conti dello Stato trasferendo il profitto del settore a New York e lasciando a chi guida il “rimborso auto”. Che innovazione! E ovviamente la “innovazione” di Uber (la chiamata con lo Smartphone che fa tanto chic) esiste già, si chiama “Radio Taxi”, chiami e arriva il Taxi.
E’ ovvio che Uber farà chiudere tutte le PMI del settore, e a che prezzo! L’Italia occupa il posto fra le prime dieci potenze economiche del mondo grazie a un tessuto economico fatto di circa 4,5 milioni di PMI che rappresentano il 99% delle aziende italiane. Le PMI danno lavoro, fra titolari e dipendenti, all’81% degli occupati, e producono il 72,4% (esclusa l’agricoltura) del valore aggiunto prodotto in Italia. E’ chiarissimo che la rete delle PMI tiene in piedi il paese, compreso il settore pubblico, compresi superstipendi e superpensioni, banche, dividendi, mezzibusti e così via per cui ci sarebbe da chiedersi quale interesse abbia in definitiva “la casta” ad affossarle e lasciare a chiunque la possibilità di affossarle: delocalizzatori, modernizzatori, banche, indiani, cinesi, romeni…
Non è solo Uber, questo processo di distruzione progressiva del tessuto economico nazionale è un fiume in piena, e ogni giorno ne esce una nuova. Una agenzia di lavoro interinale modenese che opera su tutto il territorio nazionale, la W.S. Agency, tramite un volantino suggerisce agli imprenditori di licenziare i propri dipendenti per poi farli riassumere da una loro società con sede in Romania. Le persone continueranno poi a lavorare in Italia ma con le leggi romene, e quindi senza Inps, senza Inail, senza TFR, trediciesima, ferie… “Cosa aspetti?!”, recita il volantino. A Padova un anno fa era successo lo stesso: circa mille camionisti erano stati licenziati e riassunti con contratto romeno.
Insomma queste “innovazioni” alla Uber sono un ritorno al padrone delle ferriere, al bracciantato agricolo del 1904, a prima della nascita delle Trade Union nel 1824, a prima della italiana Carta del Lavoro del 1927, e così via. E viene spacciato per “modernizzazione”, e imposta per mezzo della clava di Bruxelles e della sciagurata “europa dei banchieri”.
E il Sindacato che dice? E il PD che dice? e Forza Italia che dice? E la Magistratura che dice? E i maitre a penser, le teste d’uovo, gli intellettuali, i mezzibusti, la Grande Stampa, gli scrittori, gli economisti, che dicono? Non dicono niente, al più qualche frase di prammatica e il solito “è la dura legge del mercato”. Nel frattempo si dedicano a quello che più li appassiona: la riedizione della Corte papale di Alessandro VI Borgia con gli agguati, i tradimenti, i complotti, i ricchi doni, le mignotte, il nepotismo… Ci manca solo il veleno e i matrimoni combinati per sancire le alleanze. Ma ci siamo vicini.
Luigi Di Stefano
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Ultima modifica: 8 Aprile 2015